Antonio Piromalli e Agostino Buda, amici "corrosi dal malore civile”

di Giuseppe Inzerillo
Letteratura & Società, n.17-18 / 2004

Il mio primo incontro con Antonio Piromalli avvenne agli inizi degli anni ’60 del Novecento, a Ferrara, dove ero appena arrivato all’inizio della carriera professionale nell’amministrazione scolastica. Piromalli però era altrove, in giro per l’Italia, Preside e poi Provveditore agli studi, ispettore centrale ed infine docente universitario. Tuttavia a Ferrara aveva lasciato un ricordo incancellabile di frequentazioni intellettuali stimolanti e di una «militanza politica ardente» (sono parole sue). Soprattutto per me e per chi voleva conoscere la civiltà ferrarese dell’Umanesimo e del Rinascimento era l’autore di quel testo importantissimo pubblicato nel 1953 dalla Casa editrice La Nuova Italia (La cultura a Ferrara al tempo dell’Ariosto), che costituisce una sorta di vivacissima rivisitazione della società estense di quel tempo, al di fuori insieme dai canoni interpretativi del positivismo come delle formulazioni allora dominanti di matrice idealistica.

E proprio tra quelle pagine che disegnavano una riposta poesia anti cortigiana al tempo di Ludovico Ariosto – che ritenevo crocianamente poeta dell’armonia –, conobbi Antonio Piromalli ed importanti lacerti della storia ferrarese. Tra l’altro non mancavano di ricordarlo a me, negli incontri di carattere culturale e politico, a scuola e nei conversari occasionali, gli amici rimasti a Ferrara e gli stessi esponenti del variegato e ristretto mondo politico racchiuso entro la cerchia delle mura antiche.

In verità Piromalli, arrivato a Ferrara alla fine del 1946 per insegnare al Liceo Scientifico e poi al Liceo Classico, era diventato a poco a poco un protagonista autorevole delle vicende culturali e politiche della città che voleva riscattarsi dalle miserie della guerra e di un torbido prolungato dopo guerra.

La scuola conservava ancora una sua centralità densa di prestigio e non a caso, con immensa ed ingenua fiducia nell’avvenire, nella centralissima libreria Domenighetti di via Mazzini, «professori di diverse discipline, di diverse scuole, gruppi che si componevano e si scomponevano» (sono parole sue) si incontravano per discutere di piccoli e grandi problemi di interesse professionale e civile e magari, più tardi, dopo cena, si ritrovavano nelle strade deserte e silenziose, nel periodo invernale spesso avvolte nella nebbia, per cambiare il mondo o semplicemente per dare un piccolo sguardo all’universo negli ultimi 7000 anni di storia. Era quello, dirà in seguito, un incontro suggestivo con il mondo pagano progredito e terragno, moderno ed antiidealistico, comunista e socialista, con l’antifascismo di massa, con l’Umanesimo e il Rinascimento che celebrano la bellezza come arricchimento.

Era quella la Ferrara di G. Bassani, G. Dessì, C. Varese, R. Marchese, L. Caretti, F. Giovanelli, M. Roffi, T. Savino, A. Rinaldi, P. Modestino, B. Cavallini, L. Panarese (biografo e traduttore di Pessoa), M. Aloisi, Agostino Buda (e del giovane F. Vancini, redattore della «Nuova Scintilla», periodico politico al quale Piromalli collaborava).

Finalmente un giorno, in occasione di uno dei suoi felici ritorni nella città della sua scelta, che incominciava a dipingere ogni giorno di più con tratti di nostalgia crepuscolare mista ed intatto affetto struggente, lo incontrai. Fu l’incontro di due meridionali (calabro-messinese lui, siciliano prossimo all’Africa io) che si ritrovavano in una città che, nonostante tutto, continuavano ad amare e subirne il fascino misterioso.

Da allora gli incontri divennero più frequenti ed intensi. Ora che non c’è più spero che Piromalli mi perdoni per non avere corrisposto al suo invito del luglio 1999: «avrei piacere di pubblicare di te, ampiamente, Memorie di un Provveditore, La città e la scuola, Un siciliano a Ferrara, Il socialismo e la cultura a Ferrara, Mario Roffi e gli intellettuali di Ferrara, etc. Cioè la realtà ferrarese vista da te nella lunga esperienza da te compiuta». Aveva perfettamente ragione; tanti decenni all’ombra del castello estense, da un osservatorio privilegiato come la direzione della scuola provinciale, meritavano da parte mia attenzione, riflessione, conforto e memoria.

Piromalli ebbe invece parole di gratitudine nei miei confronti nel 1993 quando corrisposi alla richiesta di notizie biografiche e professionali sul Preside Egidio Orzalesi (su cui scrisse poi un bel saggio) e sul professore Agostino Buda, uno degli amici più cari dei tempi ferraresi. «Buda – mi scriveva – è stato con Ragghianti e Ugo La Malfa fondatore del partito d’Azione, è stato in carcere a Bologna per antifascismo e sospeso dall’insegnamento; ha collegato in tutta Italia le forze antifasciste. Ha distrutto tutte le sue carte, è morto a Milano quasi sconosciuto. Vorrei ricostruire la sua attività. Potrei avere il suo fascicolo personale o, almeno, lo stato di servizio? A Ferrara ha insegnato al Magistrale ‘Carducci’ per molti anni». E in effetti a Ferrara Agostino Buda, messinese, aveva insegnato in diverse scuole, talvolta filosofia e pedagogia, tal’altra diritto ed economia, dopo alcune esperienze negli istituti della Sicilia, dell’Umbria e delle Marche.

In una lettera del 1993 mi scriveva tra l’altro: «il tuo studio sulla Costa è notevole e più avanti, quando scriverò di Buda, ti chiederò altre notizie dell’Alda Costa». Purtroppo non fece in tempo a chiedermele. Mi pare comunque opportuno aggiungere che in un saggio del 1994 (Malinconia e fierezza di Bruno Cavallini) non tralasciava di ricordare, negli incontri della libreria Domenighetti, ancora l’amico Buda, in contatto, a partire dal 1936, con i gruppi liberal-socialisti di Milano e che a Ferrara aveva fissato la sua residenza nel 1942. Qualche tempo dopo, ricorda ancora Piromalli, andava a pranzo alla trattoria Ada e una sera che mi trovavo là con Buda «ho assistito all’incontro dopo qualche anno dalla Repubblica dell’Ossola, di Gianfranco Contini e di Buda».

Evidentemente, a distanza di anni, quell’amicizia, nata casualmente tra le nebbie del Po e della Bassa della laguna, non si era mai incrinata a distanza di tanto tempo e la stessa lontananza geografica non l’aveva per niente scalfita. Ne è conferma del resto anche quella poesia Amici contenuta nel volumetto Ti estraggo dai tifoni del 1993:

E quali amici potrei avere se non voi,
rari, minoritari,
corrosi dal malore civile
con l’utopia nelle vene
e il diamante nel cervello,
sempre con la caldana, alla caldana,
sempre contro,
contro questa sporca vita
sporca Italia, sporcato lavoro?

…………

un altro (tra carcere e persecuzioni)
vi collegò tutti, amici, e morì povero,
solo in una stanza di via Moscova a Milano.

All’amico Buda, che apparteneva all’Italia di estrema minoranza, senza alcun ombrello egemonico di protezione, Piromalli fece in tempo a dedicare questo onorevole epitaffio ma anche lo studio pubblicato su «Letteratura & Società» (n. 12, settembre-dicembre 2002) con il titolo Umanitarismo e antifascismo di Agostino Buda. E per un antifascista inorganico e senza eredi, in quest’Italia smemorata ed opportunista, è già molto.

 Giuseppe Inzerillo

 

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