Antonio Piromalli poeta

 

di Cristanziano Serricchio
Letteratura & Società, n. 17-18 / 2004

 

Antonio Piromalli merita certamente un posto di rilievo nella storia della letteratura del Novecento non solo come critico ma anche come scrittore e poeta. Notevoli infatti sono, fra gli altri, alcuni volumi in cui rivela la sua viva sensibilità poetica ricca di significato e di valore.

Nell’antologia Sei tu il bolero (1991) egli offre un esempio di valida coesistenza della ricerca poeticaaccanto a quella del critico ben noto per i numerosi saggi e studi letterari, come quelli sul Fogazzaro, sull’Ariosto, sul Parini, sul Novecento. L’introduzione al volume, che raccoglie le poesie edite nel 1945 e nel 1961, alcuni componimenti apparsi su «Ausonia» di Luigi Fiorentino, e testi inediti nell’ultima sezione, oltre a giustificare la raccolta, delinea l’interpretazione critica del percorso poetico da lui compiuto lungo un arco di quasi mezzo secolo, dagli anni della dura esperienza bellica sino a quella dei nostri giorni.
La “realtà” della vita con le seduzioni e delusioni porta il critico-poeta alla ricerca di una “poetica” necessaria per l’interpretazione degli eventi e delle atmosfere culturali sorte via via nel tempo. «La poesia [egli scrive], è nelle strade del mondo, i materiali cozzano con stridori di distacchi e nel mondo interiore si registrano i segni e le ferite». Direi sia questa la chiave di lettura degli ottanta componimenti, scelti con severità tra quelli giovanili e della piena maturità.

Il lunghissimo itinerario poetico di esperienze di scrittura e di vita, che lo portano dalla intonazione crepuscolare, dannunziana ed ermetica al simbolismo montaliano, dall’impegno di carattere morale allo sperimentalismo e alla neoavanguardia; l’immersione in paesaggi e città nuove, da Messina a Livorno, da Ferrara e Rimini, da Bologna a Caracas, rendono in lui più urgente il bisogno di cercare una via propria e di esprimere in libertà il mondo interiore, i sentimenti e le illusioni, primo fra tutti l’amore per la natura e per la bellezza e l’ideale femminile.
Penombre e Serale rappresentano il primo significativo momento di questo cantodalla intonazione crepuscolare, in cui il ritmo lento degli endecasillabi sottolinea la tristezza e la magia delle immagini. D’altra parte il peso tragico del destino di guerra fa sentire più acuto l’«intricato nodo» della vita, ma anche «l’arida pace», gli «abbaglianti silenzi», dai quali, sul filo della nostalgia del tempo perduto, riaffiora costante e necessaria la memoria della donna amata, dell’amore sovrano, vissuto e sofferto in una natura partecipe e consolatrice.
Victoria, Tropico, Figure, tra cui Lettera a Neda, Versi per ragazza di Romagna, Versi per ragazza giuliana, e poi Canzonette per Anna, costituiscono una storia d’amore, quasi un romanzo autobiografico e lirico. «Ogni vento qui ha la calma /, andavamo per barche. / Eri felice calda, / la notte bruciava».

Da questo mondo musicale ed elegiaco emergono figure femminili, creature dolenti in un paesaggio mitico, irreale, quasi di sogno. La sera, il cielo, il mare, la luna, il vento, gli orti e le fontane e, sopra ogni cosa, la presenza della donna, creano quell’atmosfera romantica, sottolineata dai vari critici, che nasce dalla suggestione delle immagini. Sono segni e sensazioni che non amano precisarsi nella concretezza oggettiva, rifuggono dalla corposità estranea e quasi nociva alla ricerca di suoni e ritmi, degli accordi fra le parole e la suggestione poetica. Un modo questo di poetare basato sulla forza espressiva e musicale della parola.

L’ultima sezione Sei tu il bolero, che dà il titolo alla raccolta, oltre a riconfermare la coerenza unitaria e stilistica e una certa continuità lirica, in cui la memoria mitologica si evidenzia con forme e strutture classicistiche, rivela più chiaramente, fuori dalle ascendenze montaliane, la predilezione per una scrittura più serrata, più essenziale e chiusa, per cui il lirismo pienamente disteso delle prime raccolte acquista maggior vigore specie quando si scontra con l’odierna condizione umana, caratterizzata dal disimpegno delle coscienze e dalle crisi delle ideologie.
In Motivi l’assenza della donna amata si fa memoria struggente, angosciosa del non ritorno, disperato canto. L’uso della quartina e della rima, la misura dell’endecasillabo, la presenza dei versi brevi danno alle parole una luce nuova, una intonazione che «strema e consuma», un ritmo quasi di pianto dinanzi alla fine di un sogno in un tempo divenuto «inutile». «La trasparenza è nel ricordo / colore di fragola / vicino a un ponte, / nel suo verde passo / che apriva arcate d’oro. / Ma è tutto remoto dalla vita».

Nel 1996 nella collana di poesie “I gherigli” a cura di Giorgio Barberi Squarotti, Antonio Piromalli pubblicava la nuova raccolta Da un’altra stanza, che è il titolo della prima sezione del libro, certamente la più intensa e vibrante, dedicata alla figura femminile che più delle altre emerge dalle rovine del tempo.
Maria, la donna amata, torna nella memoria e nella suggestione del verso, restituendo stati d’animo legati a momenti di vita e paesaggi radicati nella mente e nel cuore. La morte della ragazza, ombra la cui voce non ha suono, genera incubi e sogni che riflettono la realtà dolceamara di stagioni e giorni lontani, senza più appigli e certezze.

«Strane forme del sogno / deludono la mia mano / che vorrebbe stringerti al cuore...» «ma nessun segno astrale / vale il tuo respiro di parole vive; / nulla consola / il mio allucinato perire». La conclusione è tra le più pungenti: «non c’è luogo dove tu consista / come vita, come sogno, come voce / di allodola che trilli / una nota di canzone».

I motivi vitali di questo amore, appena vissuto e subito sepolto, si concentrano nelle emozioni e nell’amarezza del ricordo, nell’intimismo lirico che acquista delicatezze di tono e linguaggio. Altri nomi di donne collegate a momenti dell’infanzia e della giovinezza emergono nella seconda sezione Epico il nome tuo, come Rolanda la paladina proletaria, vinta tra i vinti, la bionda Zoia vestita di rosa, Alida e la guerra intesa come naufragio, e Laura Ritz hostess immagine dei lunghi viaggi.
Rivivono tra sogno e morte nelle pagine di un diario, quasi un dialogo con se stesso, con presenze-assenze dominanti a lungo con un profumo sottile di cose che non esistono più, ma sopravvivono dal cumulo dei ricordi e delle esperienze di vita e di guerra. È proprio da questa attenzione ai problemi dell’individuo giovanile e della società, di se stesso e della collettività nazionale che nascono i due canti Pietà per la storia d’Italia della prima sezione e Canto per la morte di Enrico Berlinguer della seconda, dove la realtà entra con grande forza evocatrice, per cui il dialogo con le donne della memoria e con se stesso diventa dialogo con la società intera e con la storia presente.

Piromalli in questo libro mostra un altro percorso naturale e di apertura alla totalità di impegno di vita fra abbandono evocativo e malore civile e politico, fra utopia del vivere e angosciosa invettiva. Egli affronta con ironia e con rabbia morale la condizione che ha portato alla violenza e alla corruzione, alla mafia e a tangentopoli, alla rovina e alla vacuità del mondo contemporaneo non solo politico ma anche culturale.

In questa recente Apocalisse, i Cavalieri dello Spirito sono «i riciclati della morte», che nel «sogno della saponificazione» il poeta si augura che vengano ridotti in bolle «per nettare la terra, / spegnere ogni guerra per ricreare la serra / primordiale». In questo «baratro d’inferno» ci sono tutti, potenti, politici corrotti, partiti, con nomi e fatti, critici e intellettuali, cantanti, giornalisti, poeti e poetesse, cioè «i fantasmi – scrive in nota l’autore – della storia d’Italia, che si reincarnano di continuo in prototipi di vizi: la vera inarrestabile resurrezione dall’inferno è quella dei fantasmi che ripetono le angherie, i compromessi, le sopraffazioni».
In questi componimenti satirici il verso arde come un fuoco, asciutto ed essenziale, e nella struttura strofica e negli accorgimenti metrici e lessicali, trova la giusta misura per dare voce, più che alla invettiva, fustigatrice e moralizzatrice, alla speranza di rigenerazione.

La visione pessimistica del “negativo” degli uomini, attraverso la evocazione e la condanna, trova nelle parole “salienti ma sapienti” la tensione necessaria per ricomporre il disagio storico e sociale dello scrittore, corrosivo e polemista, con la pacatezza del poeta. Dai risvolti intimi della vicenda personale, da figure, simboli e paesaggi della natura e dell’anima, il poeta Piromalli riesce a trarre in un linguaggio vivace e penetrante, ricco di immagini suggestive e liriche, talvolta epigrammatico e tagliente, i risultati più alti e incisivi della sua poesia. L’anno successivo, nella collana “Letteratura come amicizia”, ideata e diretta da Emerico Giachery e Andrea Rivier, esce in duecento esemplari fuori commercio una plaquette in prosa La ragazza di Ferrara (1997), in cui, come nelle raccolte in versi Sei tu il bolero (1991) e Da un’altra stanza (1996), il critico e scrittore, ricordando il passato, torna a rivivere momenti incancellabili del proprio essere.
Sono pagine intense dettate in età matura dal ricordo vivissimo di una ragazza incontrata a Ferrara subito dopo la guerra, negli anni degli entusiasmi aperti alla vita. Gli appariva in bicicletta coi capelli d’oro e con gli occhi verdi al cadere del sole o all’alba, crepuscolare creatura eterea e reale, senza nome, viva e intatta solo nel sogno. Casuali gli incontri, pochi i colloqui, da far dire allo scrittore nella lirica introduttiva: «Tutto è lontano e triste come una perduta cosa».

In questa proustiana ricerca del passato, nel chiuso della camera di rianimazione, il ricordo della fanciulla, trasfigurazione poetica della felicità auspicata e perduta, si fa più insistente fra realtà e sogno. Zoia, il nome che le aveva dato, torna nel silenzio dell’ospedale a infondergli coraggio, a tessergli, nella “catabasi” dell’essere, i fili visibili e leggeri di iridescenze di luce, di profumi e di colori di una città e di una stagione serena della vita, miraggi di affascinanti atmosfere e di felici incontri, nella Palazzina degli Angeli, tra la grande Certosa, i resti e le tombe degli Estensi, o nella “magna domus”, dove risuonarono i versi del Furioso di Ludovico Ariosto.
In questa atmosfera lattiginosa riaffiorano gli anni del fervore di studi e d’insegnamento, i momenti magici dell’amore per la bellezza della donna immersa nella natura, entrata nell’anima e rimasta per sempre viva nel cuore, Beatrice e Laura insieme come una Madonna del Perugino.

Il poeta coglie il sentimento del vivere nel giuoco della passione idealizzata e del sogno, fra la luce delle torri e delle mura, delle chiese e dei palazzi antichi, stilnovistica visione tra il verde dei pioppi, l’erba, i fiori dei prati e l’azzurro del cielo.
Le pagine, vibranti di lirismo, trovano ispirazione nel sogno-realtà della giovinezza lontana e nella tenerezza di un tempo irripetibile, per cui più sofferta diventa la necessità di rimediare nel passato e di riversare emozioni e sentimenti in una scrittura essenziale e tersa, che è insieme confessione e meditazione di vita, ansia di verità, memoria del proprio modo di sentire e di essere.

Mi piace conludere con le stesse parole che a proposito di Bolero scriveva Mario Luzi: «È un libro che mi ha vivamente toccato per il suo valore e per il potere di evocazione che ha avuto su di me».

 

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