Piromalli interprete del Novecento
(di Renato Bertacchini, Studi in onore di Antonio Piromalli, p. xx)

Che gli interessi di Antonio Piromalli volgano al Novecento, e a quelle figure e problemi dell'Ottocento che ne rappresentano il naturale retroterra, l'introduzione necessaria e determinante, basterebbe a testimoniarlo il catalogo delle opere lungo vent'anni di lavoro; da Fogazzaro e la critica (Firenze, La Nuova Italia, 1952; quindi Palumbo, 1959) a La poesia di Giovanni Pascoli (Pisa, Nistri-Lischi, 1957), da Fortunato Seminara (Cosenza, Pellegrini, 1966) a Carlo Michelstaedter (Firenze, La Nuova Italia, 1968), da Grazia Deledda (Firenze, La Nuova Italia, 1968) agli Studi sul Novecento (Firenze, Olschki, 1969).
Fogazzaro, Pascoli, Michelstaedter, Deledda, Seminara (e si citano solo i maggiori) sono già scelte e preferenze non occasionali, ma impegni critici che entrano in rilievo, a contatto diretto e profondo con la civiltà del Novecento, nei suoi nodi, nelle sue ragioni e circolazioni meglio pertinenti e qualificative. (continua dalla pagina "La critica letteraria")

Ma oltre a proporre, come in spaccato, gli elementi del quadro, oltre a segnare altrettanti punti fermi che resteranno le chiavi del Novecento di Piromalli, i saggi che abbiamo citati rivelano un fondo critico comune, o più semplicemente un comune spirito animatore.

Quello, ci sembra, di una mente, di un'attitudine sostanzialmente logica e sistematica che quando si applica lascia coesistere per le figure e i problemi in oggetto i diversi motivi, li discute a livello storico-critico e critico-stilistico, allo scopo di conciliarli in un motivo finale d'insieme meglio aderente. Chiaro che, sul terreno pratico e utilmente ope­rativo, lo strumento più adatto e congeniale è la monografia, il saggio monografico.

E allora, come procedono gli interventi monografici di Piromalli, interprete del Novecento? Sia che tratti delle Myricae al centro dell'attività pascoliana, sia che colga con rara penetrazione l'originalità del per­sonalismo michelstaedteriano, o segni il profilo, quasi diremmo il prender quota abilmente graduale e motivato della Deledda narratrice o di Seminara, il lavoro monografico di Piromalli avanza e cresce per una serie di successive e sempre più allargate esperienze interpretative, mosso da un'esigenza di fondo; da una vocazione originaria che è un po' (ci si passi il termine!) la delizia e la croce di Piromalli, quella cioè di cercar di esaurire l'intero spazio dei valori e delle forme, dei mes­saggi umani e delle novità, delle conquiste linguistico-espressive che un testo può rimandare (le Myricae come La persuasione e la rettorica, Cenere e Canne al vento come Le baracche e La masseria); e di assimilarne poi, quasi diremmo di spremerne le nascoste, sotterranee e sedimentate risorse a vantaggio di un proprio impegno critico tenace ed esaustivo.

Grazie a un procedimento monografico del genere, le vicende e le persone della civiltà letteraria del Novecento, anziché ridursi al grafico semplificato dell'incipit e dell'explicit, secondo formule in fondo abbastanza sbrigative di tipo univoco o stroncatorio, corrono presso Piro­malli su binari sicuri, in cui il gioco degli scambi - periodizzazione, poetica, lettura ed esame dei testi, storia della critica, ricostruzione e fissaggio ambientale storico-sociologico, verifica stilistica - procede fitto e dosato.

Si prenda l'esemplare monografia Grazia Deledda. L'organicità di questo vasto saggio deriva appunto dal fatto che in Piromalli, studioso e interprete del Novecento, esiste sempre e funziona un rapporto aperto e proporzionale tra le intuizioni critiche e gli sviluppi, la loro articolazione e le successive verifiche tematiche e stilistiche sul testo. In diversi aspetti e variati viene svolto, criticamente approfondito e ri­franto un medesimo corpo di intuizioni.

Il Grazia Deledda inizia con la ricognizione dei motivi autobiografici e artistici in Cosima, con il primo, incantato meditare della narratrice sulla vita come mistero e come avventura che ogni volta si apre e si rinnova. Passa quindi a tratteggiare la poetica del mondo patriarcale e la formazione letteraria della scrittrice sarda, individuandone alcuni caratteristici agganci con la realtà: l'elemento pittoresco regionale, il folklore locale « non in quanto fine a se stessi ma come segno di un travglio morale »; in altre parole la regione, nei suoi fattori reali, costituisce per la Deledda «il mezzo di collegamento con la storia dei romantici popolari (letture di fantasia tardo-romantica, da romanzieri popolari e narratori d'appendice, frequentazione della letteratura sarda che riflet­teva tardivamente nell'isola la letteratura nazionale agiscono quali componenti della prima cultura deleddiana), con la realtà del verismo».

A questo punto il paragrafo terzo è pronto per l'esame de I romanzi della tentazione e dell'espiazione, da La via del male al Vecchio della montagna, a Elias Portulu a Naufraghi in porto, fino a Cenere e a L'edera. Nel corso del paragrafo, Piromalli può sorprendere la Deledda in difetto di equilibrio tra direzione etico-concettuale ed elementi figurativi (per es. la problematica del male che invoca sempre il castigo, più che svolgimento e approfondimento, si pensi a Dostoevskij, trova risonanza descrittiva nella presenza e in forma di atmosfere o addirittura « in iterazioni di parole che ruotano intorno ai concetti di colpa-castigo»). Ma il risultato che più importa, di fissare e determinare secondo una riflessione appropriata e documentata i grandi temi e i valori deleddiani dell'esistenza (non perdere di vista la sostanza morale del vivere, lotta tra la tentazione e il desiderio di bene, i motivi umani, cristiani e sociali dell'amore e della morte, del dolore e della «nudità dell'anima di fronte agli altri e di fronte al destino ») riesce convincente e notevole, tanto da evidenziare con perfetta coerenza il significato operativo del paragrafo.

Vogliamo dire che l'indagine critica di Piromalli si preoccupa di individuare, durante l'azione di lettura, sottolineatura e indicazione storico-antologica (di pagine, momenti della trama, scorci e profili di per­sonaggi), un sottofondo più concreto su cui impostare un discorso per lui essenziale.

Quello dell'uomo, della creatura umana e della sua sorte. Ecco allora note e rilievi critici ad hoc, ecco il ruolo, il significato della Sardegna nella Deledda, e i motivi d'istinto, più remoti e autentici, della sua visione del mondo: «... la Sardegna fu una sorta di richiamo, un valido e plausibile exemplum fictum per la rappresentazione di quel motivo centrale che è nella Deledda la vita come fiume che trascina e poi si placa». E ancora: «II fiume della vita, la corrente che trascina (le canne al vento, la cenere, hanno valore analogico per il sentimento di fatalità che includono) sono i motivi esistenziali prevalenti della Deledda». Al limite, potremmo dire che centri dell'interesse di Piromalli per il Novecento non sono tanto, o soltanto, un bilancio letterario, la sistemazione storica e l'individuazione della fisionomia stilistica (certo an­che questo), quanto un discorso che di volta in volta, per occasioni e si­tuazioni diverse, possa riguardare l'uomo. Si vedano in questo senso le pagine dedicate a Cenere, una delle opere in cui con più potente cono­scenza e con una dialettica più sentita, la Deledda è vista realizzare la sua rappresentazione dell'esistenza: « II romanzo nasce da una profonda intuizione della vita degli umili nei paesi della Sardegna, delle difficoltà che essi devono superare per allontanarsi dai miti, dagli ostacoli che l'ambiente oppone quando vogliono studiare e portarsi avanti».

Sappiamo bene che riassumere le parti di un'opera di narrativa e di poesia è sempre difficile. Può dar luogo a forme di inerzia e stanchezza ripetitiva o produrre scelte antologiche troppo soggettive e isolanti, che forzano il testo. Il pregio delle citazioni, degli indici e dei campionidescrittivi stralciati dai testi che Piromalli ha sottomano - poniamo il caso di Anania in Cenere, la condizione umana che vi si rappresenta, le sequenze potenti e penetranti del colloquio tra il figlio e la madre - è un altro, di preciso equilibrio e misura. Nel senso che l'informazione e la citazione, mentre si distendono nel resoconto agevole e concatenato delle vicende, nel notiziario delle figure, nella messa a fuoco da parte di Piromalli minuta ed esauriente degli svolgimenti episodici e logici (an­che psicologicamente), intervengono altresì a concentrare l'azione e la penetrazione critica in altrettanti momenti di intensa, determinante evidenza.

I romanzi della seconda Deledda, della scrittrice che con Il segreto dell'uomo solitario (1921) abbandona la problematica morale e la realtà mitico-ambientale della Sardegna per avvicinarsi al narrare psicologico sono perfettamente riveduti e individuati (cfr. il cap. IV, L'altra Deledda) sull'unità di misura del romanzo e del teatro novecentesco. Li­nee portanti e strutture narrative stanno subendo un processo di rarefa­zione. E restano motivate non tanto da fattori esterni, regionali, folkloristici, etici, quanto piuttosto dalla dimensione nuova e dalla diversa sensibilità della coscienza. Con la difficile psicologia di Cristiano (pro­tagonista appunto del Segreto dell'uomo solitario) la Deledda compie «un sottile tentativo di creare, distrutto il personaggio, un mondo liri­co-psicologico assai vicino ai tentativi con cui il teatro esprimeva in quegli stessi anni, una dimensione diversa dell'uomo, la sua angosciosa disperazione nello scambiare le parti della realtà e della finzione».

In sostanziale polemica con le posizioni di De Michelis e Bocelli, per questi sviluppi extra-realistici della Deledda, Piromalli non crede si possa parlare di approdo al decadentismo. Le favole colorite, gli spettacoli meravigliosi, certo frammentarismo della pagina sono sembrati elementi del simbolismo decadente, scene snodate in bianco di luce e metafore decadenti. Al proposito, il senso storico di Piromalli, che ha ben presenti gli archi solidi che sostengono tempi, atmosfera e cultura del decadentismo, non può fare a meno di precisare che «il simbolo, quando è tale, è la trascrizione di quella religiosa lettura dello svolgimento della vita, della corrente dell'esistenza, che è immobilmente pre­sente, senza profondo sviluppo, nella scrittrice». Piuttosto che di svol­gimento verso il decadentismo, le ragioni vere, indeclinabili dell'arte della Deledda autorizzano a parlare di «allontanamento dalla traccia realistica per tentare di creare una struttura psicologica al dramma mo­rale: ma si tratta sempre di tensione romantica che si muove in una dimensione più ricca di letteratura, di lirismo che si trapunta di fiaba e di parabola, di toni più segreti e fantasiosi».

Del resto, si sarà già capito, l'atteggiamento con cui Piromalli si accosta ai momenti cruciali e ai protagonisti del Novecento, a figure così diverse tra loro, Pascoli e Michelstaedter, la Deledda e Panzini (Co­stume e arte in Alfredo Panzini), o a tematiche differenziate come le ri­cerche sulla prima guerra mondiale (i tre saggi Fermenti spirituali e tematica della prima guerra mondiale, I poeti della prima guerra mondiale, Gli scrittori della guerra, nel recente volume Studi sul Novecento) o sulla letteratura calabrese con Seminara e Calogero, risulta molto chiaro. È l'atteggiamento di chi, pur possedendo una riserva, un entroterra personale di convinzioni e strumenti di lavoro ben precisi (nella premessa ai citati Studi sul Novecento, Piromalli dichiara per sé « una linea teorica e critica nata da un'esigenza di storicismo, di poetica e di stile»), pre­scinde tuttavia, sta lontano da ogni posizione di tipo dogmatico, da ogni idea preconcetta.

Da lettore attento e sensibile, ma anche da sperimentatore severo e privo di indulgenze, Piromalli rivela e descrive i fatti negativi dei momenti culturali che esamina (specie il decadentismo, il realismo e il neo­realismo) e dei ritratti che traccia, come quelli positivi e accettabili.

Si consideri l'indagine, vigile e panoramica, condotta sulla letteratura e la poesia della guerra mondiale '15-'18. Quasi tutti gli scrittori della prima metà del Novecento, quelli che contano, Alvaro, Ungaretti, Jahier, Rebora, Saba, D'Annunzio, Comisso, Soffici, Serra, i fratelli Carlo e Giani Stuparich, sono visti passare attraverso l'esperienza della guerra; e con la guerra, non si dimentichi, esplode e viene a concludersi la crisi degli ideali ottocenteschi (Panzini con i suoi due diversi modi di arte diventa quasi il simbolo di quella crisi).

Ebbene, anche quando Piromalli consente, con esplicite preferenze che da D'Annunzio, Malaparte, Soffici si spostano e indugiano congenialmente sul motivo della guerra-problema (problema di coscienza) presso uomini-artisti come Serra e gli Stuparich, non troviamo mai in lui idoleggiamento, intenzioni parenetiche e bravure d'agiografia ad appesantire e compromettere l'interpretazione e il giudizio.

Il caso più convincente in questo senso è l'intervento su Seminara e la letteratura calabrese. Piromalli ritorna al cuore del tema, di quel verismo regionale e del neorealismo, intorno al quale le sue ricerche novecentesche hanno ruotato secondo ellissi di avvicinamento sempre più sensibilmente integrative e qualificanti (poesia che nei veri scrittori calabresi non può distinguersi da biografia, ragioni di speranza che s'alternano a replicate delusioni, spirito di denunzia riscatto accusa alla radice della problematica e dell'arte dei narratori di Calabria).

In particolare, nella delineazione della corrente dei narratori calabresi dell'Otto-Novecento, da Padula a Misasi, a Perri, a Rèpaci, Seminara, La Cava, Strati, De Angelis, pur fissando i termini precisi e indiziati del problema (i narratori calabresi non si sono mai illusi « di poter concepire l'autonomia del romanzo escludendo i problemi e i temi della questione calabrese, della sofferenza calabrese, problemi e temi che appartengono anche alla questione meridionale ma che, in seno a questa, si atteggiano in modo particolare a causa della particolare storia della regione»), Piromalli lascia un'intelligente apertura al dibattito, al confronto e magari allo scontro delle opinioni, a ridosso degli autori e relative opere.

Così, a proposito de Le baracche, il primo romanzo di Fortunato Seminara, scritto nel 1934 e pubblicato nel 1942, che con l'approfondimento della realtà scopriva il mondo delle plebi meridionali tuttora al margine della vita nazionale (e imperiale), Piromalli parla di esordio controcorrente, di presa di posizione nell'ambito di una letteratura di opposizione, tanto più valida e coraggiosa quando si pensi che in quello stesso periodo « la narrativa italiana non riusciva a scavare nella realtà dei miseri e si appagava di evasioni, di temi dopolavoristici, di rievocazioni storiche, di idillici molinari della vecchia Italia ecc.». Ma a questo punto, e posto che con gli «idillici molinari della vecchia Italia» si voglia alludere al Mulino del Po di Bacchelli, dovremmo avanzare qualche riserva: la saga padana e molinara di Bacchelli come non partecipava certo dell'ottimismo e del nazionalismo retorico post-bellico e fascista così non era affatto letteratura né d'intrattenimento né d'evasione; basti pensare alle idee e alle prospettive socialiste che circolano nella trilogia del Mulino del Po, con scioperi, tassa sul macinato, prime associazioni contadine e conflitti di lavoro, tutto un materiale di riesumazione storico-narrativa poco o niente gradita alla cultura ufficiale del regime.

Senz'altro più convincente il discorso di Piromalli inteso a dimostrare come Seminara distenda i termini della sua poetica nella prosecuzione dell'arco romantico-verista della letteratura meridionale, o anche meglio, più precisamente, di quella letteratura che si presenta con singolare rilievo e connotati specifici di protesta e di opposizione. Qui, la volontà di far precipitare nella chiarezza storica e culturale elementi di stratificazione e reazione altrimenti complessi e differenziati, funziona in pieno, con lucida e responsabile intelligenza, quando per il Paese del Sud e La masseria, incidendo i motivi operanti nella poetica e nel mondo di Seminara della vita come guasto e come dolore, come errore e come violenza imposta, Piromalli scrive (questa e la citazione che precede sono tratte dal saggio monografico Fortunato Seminara, cit., para­grafi II e V): «La angustia della vita sociale e la spinta secolare del sentimento della giustizia offesa e umiliata da classi dirigenti, da singoli uomini prepotenti e protetti, hanno maturato questa psicologia [dei per­sonaggi frustrati, vinti, poveri per estrema miseria] percorsa da fiamme di collera e di risentimenti che, carichi di sovrastrutture e miti lontanissimi, provengono da una Calabria orfico-medievale-feudale conservatasi intatta sotto vicerè e baronie, non raggiungibile dai soffi della vita moderna».

Qui non solo si costruisce una prospettiva, uno spazio storico-culturale perfettamente centrato e articolato. Ma al di là dell'intima consonanza morale e affettiva, mossa da interesse di patria e terra comune che può legare il critico Piromalli al narratore Seminara, ciò che più importa sarà il punto di convergenza ideologica, l'interesse operativo che continua, con fedele coerenza, a rivolgersi all'uomo e alla realtà del suo destino.