ROLANDA

 

 
Epico il nome tuo, di paladina
proletaria, dal sorriso amarastro.
Eri la classe, consapevole
delle catene, quasi senza speranza;
non davi tenerezza né dolciura;
eri quello che eri: un ghiaccio tagliente,
una grande calura;
eri chi è condannato ed è innocente;
eri chi non piange e non langue
anche quando porgevi
la tua bocca scolpita nel sangue.
 
Eri vinta tra i vinti; in aprile
non la sconfitta, la vittoria era stata vile.
Il quattordici luglio del Quarantotto
nella piazza del Duomo di Ferrara,
il volto proteso in avanti, il braccio in alto
("sventolando la rossa tua bandiera")
emergevi come barena o golena del Po,
sinuosa cupola di Samarcanda,
dai margini della sconfitta,
dalle barricate tu, Rolanda.
 
Ti puntavano; dalle barricate
mi cadesti fra le braccia
dietro la colonna equestre di Nicolo d'Este:
a destra e a izquierda di noi, la traccia
s'appiattì dei proiettili celerini.
Ti dissi "bella, ciao". Tremavi,
dalle mani ti sciolsi
la pistola d'ordinanza partigiana;
nell'acqua del fossato del Castello
gettai la tua durlindana.
 
Dileguata per sempre, tu sei viva
tra le rocce della memoria,
nel vento dei cieli, fiume carsico
che ti trascina a galla nel diluvio.
In questo
miserando finale di partita
che dà gettame alle teste dell'Idra
e stringe le coronarie,
il tuo nome scoagula la storia,
dà i brividi
di sabbia della clessidra.
 

 

Rimini, giugno 1994