PREFAZIONE
alla seconda edizione (Roma, Bulzoni, 1975)
Questo studio, concepito durante vari anni di dimora a Ferrara e scritto a Rimini, riappare a quasi venticinque anni dalla sua ideazione. Esso fu ideato come terreno di metodo e di cultura per esaminare l'arte di Ludovico Ariosto, come abbiamo immediatamente fatto in Motivi e forme della poesia di Ludovico Ariosto (Messina-Firenze, D'Anna, 1954) in cui abbiamo cercato — e ci hanno aiutato costanti colloqui messinesi con Galvano Della Volpe — di dimostrare che gli elementi intellettuali e artistici non si possono scindere nell'Orlando Furioso e che anche per l'Ariosto non può valere una formula assoluta (e, meno che qualsiasi altra, quella di poeta dell'Armonia).
Il nostro studio riappare con lievissimi ritocchi formali, con qualche aggiunta intorno al Pistoia e con una Appendice. Esso ha esaminato, per la prima volta, le caratteristiche e la formazione dei vari gruppi intellettuali cortigiani, borghesi e popolari della Ferrara dell'Umanesimo e del Rinascimento come elementi intermedi tra i fenomeni economico-sociali (ampiamente trattati in tutto il volume) e la personalità dell'Ariosto. Abbiamo studiato le strutture economiche, i rapporti tra le classi e l'ideologia cortigiana estense come elementi determinanti di quell'età, rigettando il rapporto meccanico tra i fenomeni economico-sociali e la produzione artistica; la polemica con la critica positivistica e con quella idealistica era indispensabile per porre al centro della ricerca i gruppi intellettuali, i condizionamenti e il conformismo di taluni, la libertà intellettuale e morale di altri. L'Ariosto era un punto di riferimento di quella cultura di classe, in quanto creatore di una nuova umanità e di una nuova arte.
La nostra documentata polemica postulava una ipotesi - gramsciana - che oltrepassava i parziali elementi offerti da positivisti e da idealisti e preparava il terreno per la lettura dell'arte del Furioso.
Lo studio - che è da leggere in tale funzione ed è completato dall'altro studio del 1954 - nasceva in epoca di critica stilistica e di retrodatazioni culturali, quando diversi critici assumevano i coturni di Spitzer e di Curtius e vedevano in lavori come il nostro soltanto il pericolo della rozza sovrapposizione della ricerca storico-economica alla poesia; quei coturnati ripetevano (e taluni continuano a ripetere) come formule chiuse i termini contemplazione, immaginazione, consolazione etc., ancor oggi che i Cinque canti e le quattro «giunte» al terzo Furioso (con i motivi dell'insidia, della crudeltà, del tradimento, della slealtà) intaccano gravemente la prospettiva armoniosa.
Il nostro lavoro ha avuto una notevole fortuna (di cui rendiamo ragione nell'Appendice) e non è stato soltanto un sasso gettato nei vetri ma ha voluto rappresentare un contributo allo storicismo integrale, gramsciano, intorno al problema dell'Ariosto. Oggi si parla di un «nuovo corso della critica ariostesca» (Caretti) e ristampando il volume ringraziamo tutti coloro i quali nelle discussioni ci hanno aiutati a verificare le nostre prospettive e ad arricchirle.
Roma, 16 giugno 1974.