Un amico e un maestro
di Angelo Fabi
Letteratura & Società, n.17-18 / 2004
Chi scrive non è molto propenso ai riferimenti personali, che tuttavia qui, per rievocare alcuni episodi della sua lunga amicizia con Antonio Piromalli, gli saranno inevitabili.
Ci siamo conosciuti nei primi anni Cinquanta, quando Piromalli venne a Rimini, da Ferrara, ad insegnare nel locale liceo classico. Non ci fu difficile entrare in sintonia, anche se io non ho affatto la vocazione del critico letterario, ma, se mai, quella delle ricerca pura e semplice nel campo della letteratura e in quello della linguistica.
Erano gli anni della ripresa degli studi dopo la stasi del periodo bellico, anni fervidi di progetti e iniziative culturali e, soprattutto, pieni di speranze. Gli argomenti per discorrere non ci mancavano; ci si vedeva in casa sua, ci s’incontrava in biblioteca e, in estate, anche alla spiaggia all’ombra della tenda. Piromalli era allora un giovane uomo che attendeva con amorevolezza paterna al piccolo figlio Lanfranco, un bel bambino dai riccioli scuri: giocava con lui sulla sabbia, lo lasciava salire sulle spalle, lo accompagnava al bagno dove l’acqua è bassa e le onde carezzevoli.
Nel 1953 il Comune di Rimini volle ricordare il 2º centenario della nascita del poeta riminese Aurelio de’ Giorgi Bertola mediante una serie di conferenze atte a illustrarne la figura: si trattava di una personalità indubbiamente ‘minore’ nel panorama letterario del Settecento, ma assai più complessa e meritevole di attenzione di quanto fosse apparsa in passato, allorché veniva liquidata con vieti stereotipi. Allo scopo fu costituito un comitato organizzatore in cui era stato incluso Piromalli, che era il più adatto a designare gli oratori da invitare scegliendoli tra gli studiosi più qualificati del tempo, tra i quali spiccava Francesco Flora. Opportunamente si era anche pensato di raccogliere le conclusioni e gli studi in un volume che potesse divenire uno strumento di studio. Tale volume, curato dallo stesso Piromalli, dal prof. C.A. Balducci e dal sottoscritto, fu pubblicato a Bologna. È facilmente ipotizzabile che da queste celebrazioni riminesi sia germinato in Piromalli l’intendimento di studiare Bertola personalmente: studi da cui nacque la monografia Aurelio Bertola nella letteratura del Settecento, che vide la luce a Firenze nel 1959, opera ancor oggi utilissima anche per il molto d’inedito che ha offerto.
Di lì a pochi anni Piromalli ed io, per esigenze diverse, confluimmo a Roma. La vita dispersiva della grande città, la diversità delle mansioni non ci permettevano di vederci di frequente; ci incontravamo qualche volta alle conferenze dei Lincei e a quelle dell’Arcadia alla Biblioteca Angelica. Piromalli univa, agli impegni universitari e ministeriali, la sua ben nota instancabile attività personale fatta di studi e ricerche, conferenze, partecipazione a commissioni d’esame, a giurie di premi letterari, a riunioni organizzative di manifestazioni culturali, che lo portavano, magari nel giro di pochi giorni, da un luogo all’altro d’Italia. Quanto a me, avevo l’insegnamento al mattino e al pomeriggio il lavoro redazionale alla Treccani. Ci sentivamo al telefono e le nostre conversazioni vertevano, di solito, su soggetti bibliografici, su libri recenti, su saggi comparsi su riviste di italianistica; spesso ero io a interpellarlo, dato che lo sapevo aggiornatissimo e non ignoravo di quanti studiosi aveva conoscenza personale; era sempre prodigo di informazioni e di consigli. Con più agio ci si rivedeva d’estate a Rimini, ove egli soggiornava col figlio e la sua famiglia. A proposito di tali soggiorni mi sia permesso riportare testualmente ciò che mi scrisse il figlio, appunto da Rimini, poco dopo la morte del padre: «I periodi estivi che qui insieme trascorrevamo erano per lui una pausa dagli impegni esterni, durante la quale poteva studiare indisturbato, distraendosi solo con qualche visita ai castelli dell’entroterra e qualche incontro con gli amici. [Quando morì] la valigia di lavoro era già riempita e confezionata col bigliettino a me diretto ‘da portare a Rimini’». Qui ci sedevamo su una panchina a chiacchierare: si parlava di tutto un po’, ma specialmente dei suoi progetti di studio e anche in quelle occasioni notavo l’acutezza delle sue osservazioni critiche e la molteplicità dei suoi interessi; a volte mi sembrava che egli avesse individuato un soggetto di studio allora, lì per lì, come per un’improvvisa folgorazione, mi chiedeva che cosa io ne pensassi: era un argomento di cui sicuramente si era già innamorato e che in seguito avrebbe affrontato con quell’entusiasmo fresco, giovanile, sorretto dalla sua solida attrezzatura culturale. È noto che nell’ampio territorio delle sue indagini vi erano due poli geografico-culturali verso cui s’indirizzavano i suoi interessi più vivi: la sua Calabria e la Romagna, della quale aveva perfettamente compreso l’identità etnica e culturale. Ma occorre sottolineare che non indulgeva in nessun caso ai campanilismi e alle grettezze provinciali, ché anzi era quanto mai portato alla conoscenza di nuovi ambienti umani e di realtà storiche differenti.
Agli Scritti in onore di Antonio Piromalli, pubblicati ad iniziativa dell’Università di Cassino, diedi un mio contributo (vol. II, pp. 275-290) la cui genesi fu piuttosto singolare. Piromalli nella sua monografia su Bertola, cui sopra si è accennato, aveva scritto: «…fra le carte forlivesi del Bertola [cioè conservate nella Collezione Piancastelli presso la Biblioteca Comunale di Forlì] si trova una canzonetta inedita del Mascheroni a Marietta Mosconi»: in realtà quella canzonetta è sì autografa di Lorenzo Mascheroni, ma l’autore ne è Bertola, come poi ebbi la ventura di accertare senza possibilità di dubbio. Nel mio saggio pubblicavo la canzonetta, che è interessante per vari aspetti, dando anche notizia della sua esatta paternità. Il che, in quella sede, sarebbe stato somma scortesia o peggio se non avessi ben conosciuto la serietà scientifica di Piromalli e, soprattutto, la sua intelligenza; infatti egli apprezzò molto il mio lavoretto, tanto più che si accentrava su un argomento a lui noto.
Il Comune di Rimini, come nel 1953 aveva celebrato il 2º centenario della nascita di Bertola, nel 1998 volle ricordare il 2º centenario della sua morte e promosse un convegno internazionale di studi. Piromalli, che faceva parte del comitato organizzatore, con molto anticipo m’invitò a collaborare; quell’invito mi mise in imbarazzo perché non avevo alcuna idea dell’eventuale argomento da trattare; d’altra parte la partecipazione, francamente, mi seduceva. Mi misi poi a studiare il carteggio tra Bertola e Clementino Vannetti, che richiese un mio lungo impegno. Ancora ho negli orecchi le garbatissime parole con cui Piromalli, che presiedeva la seduta, prima della mia relazione mi presentò a quell’eletto pubblico di addetti ai lavori.
Lo rividi l’ultima volta l’11 maggio 2003 a Savignano sul Rubicone ove all’Accademia dei Filopatridi, di cui faceva parte, tenne una conferenza su “La Scuola classica romagnola”; era da tempo che non lo vedevo e lo trovai un po’ dimagrito, ma del resto in perfetta forma; parlò per oltre un’ora e alla fine rispose alle domande di alcuni intervenuti. Era solito parlare in pubblico senza un testo preventivamente scritto, senza alcuna ‘scaletta’, eppure era capace di snodare gli argomenti con ordine e limpidezza, anche su temi specialistici come accadeva nella maggior parte dei casi, con piglio di consumato vivace conversatore. Evidentemente il rapporto col prossimo gli riusciva facile e chiunque lo accostava poteva notarne la cordiale disponibilità, la signorilità del tratto.
Al mattino del 9 giugno, a Roma, uscendo di casa trovai nella casella una sua cartolina illustrata con data «7-VI-2003», che fu il giorno stesso della sua morte: ma io sono portato a pensare a una sua svista (troppa celerità nel viaggio di una cartolina illustrata). Sul giornale del 9 stesso lessi l’annuncio della sua morte pubblicata dai famigliari. Impossibile non restare colpiti da quelle agghiaccianti e quasi incredibili coincidenze.
Ora che Piromalli ci ha lasciati, un po’ tutti ci sentiamo più soli: a molti di noi mancherà un amico e un maestro.