Piromalli lettore e amico di Ruggero Jacobbi
di Fabio Francione
Letteratura & Società, n.17-18 / 2004
Non v’è intenzione di indirizzare questo saggio né sul ricordo né sulla mia biografia e chiedo al lettore ammenda per l’apertura di una breve parentesi personale. Anzi ciò che di seguito verrà scritto viene in qualche modo a giustificare l’intera impostazione di metodo.
Non ho conosciuto Jacobbi; nel 1981, quando morì, ero solo uno studente ai primi anni di liceo. La prima volta che vidi Piromalli fu, ancora al liceo, allorché per il suo arrivo a Cassino, alla riformata università e facoltà di magistero, tenne una lezione magistrale sugli Estensi. Non sapevo che qualche anno più tardi, quel professore dall’eloquio cristallino e dalla prodigiosa memoria sarebbe diventato mio maestro, tanto da laurearmi con lui nel ’90.
I successivi anni sono stati segnati, per il sottoscritto e Piromalli fino alla sua morte, da una fitta corrispondenza e da frequenti e lunghe telefonate. Ahimè rare sono state le visite dell’uno e dell’altro. Ci vedemmo a Como; a Lodi dove vivo ci fu un intenso colloquio su memorie d’altri tempi tra Piromalli e Gillo Pontecorvo, il regista della Battaglia di Algeri, allora ospite del Lodi Città Film Festival.
Il nostro più che parlare era un discutere serrato, senza pause, su libri, film, persone e politica, dai quali talvolta spuntavano racconti privati e minimi, più miei, in verità, che suoi. Quel conversare aveva un tratto che col tempo era diventato un passaggio obbligato, da cui nessuno dei due avrebbe più potuto sottrarsi: Ruggero Jacobbi.
Più tardi e solo allora, quando invece delle discussioni mi sono dovuto appellare alla memoria, ho capito che il discutere di Jacobbi ha riempito e colmato la distanza del rapporto allievo-maestro.
Scrivere di loro è anche scrivere della mia amicizia con Antonio Piromalli.
Antonio Piromalli e Ruggero Jacobbi appartenevano alla generazione che crebbe e maturò la propria giovinezza durante il ventennio fascista. Piromalli nacque il 3 settembre 1920 a Maropati in Calabria, Jacobbi il 21 febbraio dello stesso anno a Venezia. Tutti e due si trovarono ancora giovinetti a seguire gli spostamenti familiari. Ma a questo punto, meglio separare le due biografie per ricongiungerle più avanti. Piromalli trascorse l’intera adolescenza a Messina. Jacobbi ebbe invece vita più tortuosa già da ragazzo, tratto che lo seguirà curiosamente per tutta la vita. Dalle scuole elementari frequentate a Genova si spostò a Torino ed, infine, a Roma.
Le coordinate geografiche, apparentemente poste agli antipodi dell’uno e dell’altro non evitarono legami e relazioni culturali – Piromalli rammenta di aver collaborato diciottenne alla rivista «Meridiano di Roma» che aveva Jacobbi tra i suoi più assidui corrispondenti – che influenzarono le loro scelte sin dal loro “antifascismo” passivo, di derivazione familiare, poi letterario - ermetico ed, infine, d’adesione a partiti che nacquero e rinacquero all’indomani dell’8 settembre 1943.
Qui, però, seguire l’itinerario politico di Piromalli e di Jacobbi aprirebbe una voragine interpretativo-sociologica di quegli anni che occuperebbe l’intero spazio di questo scritto. Altrettanto vero è che non ci si può del tutto sottrarre alla considerazione che essi riversarono non poche energie, pur con intendimenti differenti, in quel crogiuolo informe di storie, vicende e idee – ancor oggi oggetto di profonde discussioni e tentativi non sempre felici di revisione – fatto soprattutto di persone che si presero la briga di voler costruire, proprio a ridosso di quel difficile periodo, un’Italia nuova. Ci si può però schermare considerando che – come Jacobbi suggerisce – «l’impegno politico dello scrittore, che è sempre effettivo, avviene pertanto a livelli diversissimi e imprevedibili». Un solo esempio si può però dare, collocato agli inizi delle loro carriere. Infatti, se Piromalli fu tentato per breve tempo dalle idee del Partito d’Azione (ancora militare in Sardegna, egli ricorda in più occasioni le frequenti riunioni clandestine: Piromalli ebbe conoscenza degli ambienti della Normale di Pisa e frequentazione con Luigi Russo), Jacobbi, dopo una assidua militanza nelle riviste di “fronda” del regime («Letteratura», «Campo di Marte», «Cinema»), abbracciò gli ideali socialisti, trovando appoggio in quell’idea di umanesimo socialista di matrice milanese che aveva i suoi punti di forza nel sindaco-drammaturgo Antonio Greppi e nel critico-organizzatore Paolo Grassi (Piromalli chiama Jacobbi socialista libertario e internazionalista, e lo fu successivamente). Proprio con quest’ultimo e con altri giovani Jacobbi fu tra gli animatori che con feroci discussioni e agguerrite polemiche ri-teorizzarono lo spettacolo in Italia.
Quell’Italia e la fine di quella fugace ed intensissima stagione di grandi utopie e slanci emotivi affrancarono Piromalli dal Partito d’Azione per aderire al Partito Comunista. Per Ruggero Jacobbi, al contrario, ci fu il viaggio per ragioni di lavoro in Brasile, dove rimarrà fino al 1961. Dunque, sono nuovamente le biografie di ognuno a ricreare i rispettivi caratteri. Mentre Jacobbi si costruiva lontano dall’Italia, in quella che chiamò, non senza enfasi, la «seconda Europa» la professione di uomo di spettacolo e di lettere a tutto tondo, andando ad infoltire quella schiera di italiani, soprattutto di teatro e di cinema, che sull’esempio anticipatore di Ungaretti (le ragioni del poeta erano però differenti da quest’ultimi) formarono una “colonia” rispettata e perfettamente integrata in quell’ambiente tropicale.
Piromalli cominciava dal basso la carriera che lo porterà a percorrere tutti i gradi della scuola italiana, passando da semplice docente di lettere e latino, a preside e a provveditore, fino ad assumere la carica di alto dirigente del Ministero della Pubblica Istruzione e parallelamente ad intraprendere anche la carriera accademica che lo porterà dalle prime libere docenze all’ordinariato. Anche Jacobbi, dopo innumerevoli amarezze, arriverà ad avere la cattedra d’ordinario solo nel 1980, un anno prima della prematura scomparsa.
Le date, alla lunga, risultano importanti in questa amicizia, durata per frequentazione solo poco più di un decennio, ma proseguita grazie a Piromalli per il restante tempo rimastogli.
Proprio di quest’amicizia postuma intendo seguire le tracce, di cui però non troverete traccia nella meritevole pervicace e costante ripresa di studi, pubblicazioni e ristampe intorno alla complessa e poliedrica figura intellettuale di Jacobbi intrapresa, con più pause fino agli anni ’90 e da qualche anno più organicamente, da Anna Dolfi e da Mara e Laura Jacobbi.
Il pedinamento dei numerosi richiami a Jacobbi, disseminati da Piromalli, nelle sedi più disparate, porterà a chiudere questo discorso sull’esame dell’Attività letteraria di Ruggero Jacobbi, l’agile profilo critico e intellettuale scritto nel 1999 e che rappresenta – a mio avviso – il suo congedo e testamento dalla letteratura. Piromalli spese gli ultimi quattro anni di vita nella direzione di «Letteratura & Società» e nel tentativo di affrontare e coniugare la propria biografia alle istanze utopistiche a cui il suo magistero era, alla fine, giunto.
Prima di incamminarci, è d’uopo rammentare l’esistenza nel Fondo Jacobbi, depositato presso l’Archivio Bonsanti del Gabinetto Vieusseux di Firenze, di lettere e cartoline – circa una decina – di Piromalli indirizzate a Jacobbi che coprono il quinquennio 1971-75 e successivamente alla morte di questi risalgono oltre sei missive (1981-1997), tra cui una cartolina e la lettera di condoglianze, indirizzate alla moglie Mara. Sul versante opposto, prima di morire Piromalli aveva ordinato in una cartellina tutta una serie di lettere destinate forse alla pubblicazione o più verosimilmente andavano a ricordare pezzi di vita del critico calabrese in vista dell’intenzione di raccogliere le proprie memorie. Vi sono cinque lettere anche di Jacobbi; queste risalgono agli anni 1973-1979.
Nell’autopremessa, Realtà e poetica, al volumetto Sei tu il bolero, datata Roma, febbraio 1991, Piromalli scrive:
"Al 1971 risale la mia amicizia con Ruggero Jacobbi, il più raffinato, completo conoscitore della cultura del Novecento, impegnato totalmente secondo le poetiche del surrealismo e dell’ermetismo. Ruggero entrò subito in un organismo didattico centrale del Ministero della Pubblica Istruzione da me diretto e abbiamo percorso l’Italia per aggiornare i docenti delle scuole medie superiori in anni di lavoro costruttivo. In memorabili dibattiti Ruggero indicò che la lirica non voleva essere più lirica, che era entrato – ed era un fatto morale, di libertà – un diluvio di irrazionalismo, di sperimentalismo, di neo-surrealismo, di sotterranea articolazione dello sfasciamento della sintassi e della lingua che derivavano – tardi, molto tardi – dal non aver saputo sviluppare il futurismo dall’interno e dal non avere avuto un surrealismo a tempo debito. Adesso esplodeva il bisogno di dire la verità più che di esprimere la bellezza, di provocare l’abisso per non mascherarsi nei sentimenti equilibrati giustificati da una storicità che gli eventi travalicavano".
C’è un fatto che serve a giustificare la lunga citazione ed è spinto sull’attualità, quasi a dimostrare, qualora ce ne fosse ancora bisogno, il valore delle riflessioni di Piromalli (e di Jacobbi), critico e poeta “clandestino” (come e ancor più Jacobbi): «Il conflitto dialettico era questo e le nostre ultime poesie nascono anche dalla consapevolezza della frattura etica, sociale, culturale che abbiamo vissuto – con una guerra assurda e canagliesca – in questi ultimi mesi». L’essere nel proprio tempo, stare in “mezzo alle cose”, il richiamo mai domato “al vivente”, consente a Piromalli di spostare l’attualità del proprio pensiero oltre la barriera temporale e la chiusa finale non è solo un richiamo all’amico che non c’è più: «Col pensiero rivolto a Ruggero Jacobbi – al cui ricordo questo discorso è dedicato, alla sua avventura nel Novecento di tutti i paesi – concludiamo ripetendo la parole con le quali egli chiudeva il ‘Secondo Novecento’: È sempre il libro di domani, non quello d’oggi, a confermarci che ieri valeva la pena di provocarlo, di aiutarlo a nascere».
Il giudizio di valore, quindi, di un’opera totale – quel “totale” che non è, attenzione, wagneriano, titanico o superomistico – non si valuta solo nei libri scritti, fatti o suggeriti ed un capitolo a parte si aprirebbe a voragine sulle presentazioni, commissioni e libri di Piromalli a Jacobbi (cito solo due esempi: fu Piromalli a presentare a Jacobbi Franco Mollia direttore della collana “Il castoro” dove apparve il profilo di Pizzuto e Poesia Brasiliana del Novecento fu pubblicato nella collana della Longo Editore “Il Portico” diretta proprio dal critico calabrese). Ma è un valore che si basa sulla costanza del lavoro e della strada che si percorre. A tal proposito, una citazione “folgorò” Piromalli; infatti, durante una delle lezioni dei corsi d’aggiornamento, «Jacobbi venne fuori con… ‘La nostra vita non s’inventa sul foglio di carta, sotto il paralume verdognolo, ma giorno per giorno si crea sulle strade del mondo e nella passione dell’opera’…». Piromalli e Jacobbi, interrompendosi l’un l’altro continuarono a recitare la poesia di Luca Pignato, «autore di pagine essenziali, quasi clandestine…» – di nuovo la clandestinità della poesia, dei poeti “veri” che ritorna, anzi stavolta affiora dal “passato” – che rinsaldano un vincolo d’amicizia.
Il nostro pedinamento continua e, stabilite alcune coordinate, esse ora si spostano verso quello che è stato chiamato il “testamento” e “congedo” dalla letteratura di Piromalli: L’attività letteraria di Ruggero Jacobbi.
È del gennaio-febbraio 1992 l’uscita del n. 1, anno XIV, della rivista «Riscontri». Questo numero, monografico ed interamente dedicato da Piromalli a Jacobbi – premessa, nota filologica e cura di Toni Iermano – ha per titolo Surrealismo, avanguardia e memoria nel mondo poetico di Ruggero Jacobbi. L’intera introduzione di Piromalli sarà rifusa interamente nel capitolo secondo dell’Attività letteraria con titolo cambiato in Percorsi della poesia. L’importanza di questa monografia, oltre all’introduzione, sta nell’antologia di versi che completa la ricognizione piromalliana sul “poeta” Jacobbi. La scelta avvenne sul corpo inedito della Pietà misteriosa per la maggior parte, uno scartafaccio “poetico” che Jacobbi intendeva pubblicare a metà degli anni sessanta, rispondendo ad una pressante richiesta di Oreste Macrì. Di queste intenzioni, una lettura accurata è nel carteggio Jacobbi-Macrì, pubblicato da Bulzoni nel 1993 per le cure di Anna Dolfi. La curatrice collocherà in appendice al carteggio un’ampia selezione del materiale della Pietà, in cui terrà soprattutto conto delle indicazioni di Jacobbi medesimo. Una volta messi a confronto i due “bocconi” antologizzati non si può fare a meno di notare i due modi di far critica di Anna Dolfi e di Piromalli. L’incontro, però, ed è quello che conta, è nella coscienza dei “critici” di trovarsi di fronte ad un vero “poeta” e a un poeta “vero”.
Sul gioco delle distinzioni, s’affranca anche questo pedinamento, che, come visto, parte da lontano e giunge fino all’attesa pubblicazione della più volte citata Attività letteraria di Ruggero Jacobbi, avvenuta nel 2000, ma attesa almeno da un triennio e rimandata da Piromalli per problemi di salute. Con L’attività, Piromalli chiude i conti con Jacobbi, perlomeno intesi come dialogo, scambio, passione, capacità di comprensione, esplorazione di indirizzi non percorsi, ecc. Ma apre un capitolo nuovo del suo personale itinerario critico, non portato a termine e che sarà compito dei suoi allievi completare. Qui mi spiego meglio: il nodo sciolto è stata l’amicizia Jacobbi-Piromalli, ma la domanda di fondo resta: fu un’amicizia pari od impari? Non darò una risposta, anche se un’idea, estremamente ipotetica e tutta da verificare, ce l’ho e questo scritto ne è certamente la prova. Ma le tesi si devono trovare in altre sedi, che sono nei rapporti di poteri che si stabiliscono nelle università, nei concorsi, nei convegni, nelle riviste, nelle case editrici, nella capacità di comunicare e fare opinione. In questo sia Jacobbi sia Piromalli sono stati in certo modo scavalcati dai tempi e un po’ per scelta un po’ per altro, tutti e due, dopo aver “toccato” i luoghi più importanti delle patrie lettere, si rifugiarono chi nel “mare” delle letterature straniere chi nei “fiumi” delle letterature dialettali, cercando un’alterità alla propria identità “letteraria” ed una via, allo stesso tempo “italiana”, a tutti i movimenti interni ed esterni che toglievano respiro e provincializzavano l’Italia. In ultimo, Piromalli ripeteva di essere un critico delle “utopie”, Jacobbi lo fu per tutta la vita.
Appendice
Un ultimo colpo di coda, sul rapporto Piromalli-Jacobbi arriva dalla rivista piromalliana «Letteratura & Società», che pubblica nel numero 13 del gennaio-aprile 2003, ma uscito dopo il giugno di quell’anno, quindi dopo la morte del suo fondatore e direttore, uno studio di Michela Baldini sul Teatro militante di Ruggero Jacobbi. Tale scritto mi consente di aggiungere al mio discorso anche un riferimento, da non trascurare, allo Jacobbi uomo di teatro a tutto tondo ed in particolare al critico recensore di spettacoli, all’indomani della pubblicazione di Maschere alla ribalta.
«Un giorno o l’altro mi deciderò a comporre un libro con le sole cronache, di qualche utilità storiografica (immagino) e di maggiore unità stilistica (certamente)». Così Ruggero Jacobbi, nelle Rondini di Spoleto (di recente ristampato dalla tridentina casa editrice La finestra), avvertiva il lettore su propositi futuri disattesi in vita e che si raccolgono postumi grazie alla cura di Francesca Polidori e soprattutto di Anna Dolfi, biografa ed autentica esegeta da almeno vent’anni dell’opera del “letterato e teatrante”, come Jacobbi medesimo si definiva.
L’imponente volume di quasi 600 pagine, Maschere alla ribalta, delimita ad un arco temporale di cinque anni – 1961/1965 – la raccolta di recensioni di spettacoli e libri, di occasioni di bilancio, di far il punto su attori, registi e autori, di considerazioni di politica culturale sul mondo teatrale italiano (ed anche europeo); tutti scritti in forma giornalistica, per l’appunto cronachistica, donde il sottotitolo Cronache teatrali, per il quotidiano «l’Avanti». Tali anni rivestono notevole importanza nella biografia di Jacobbi; difatti essi segnano il ritorno a “casa” dopo i diciotto anni passati in Brasile, nei quali «la seconda Europa» (altra definizione “capitale” di Jacobbi) fa esplodere l’eclettismo jacobbiano che s’inventa letteralmente uomo di spettacolo completo (drammaturgo e sceneggiatore; regista teatrale, lirico e cinematografo; traduttore, critico e persino didatta). L’inizio degli anni Sessanta sono gli anni in cui è ricucito il rapporto col Piccolo Teatro, con Giorgio Strehler e Paolo Grassi lasciati l’anno prima della “fondazione” del primo teatro pubblico italiano; insegna ai corsi della Scuola d’Arte Drammatica del Teatro, cura i celebri Quaderni e mette in scena alcuni testi di drammaturghi emergenti, consacrandoli al successo: ad es. I burosauri di Silvano Ambrogi con Ernesto Calindri del ’63.
Ma sono il lavoro critico, lo scavo dei testi e delle regie, il confronto e lo scontro delle pratiche organizzative e creative del mondo dello spettacolo, segnatamente il teatro, che risaltano maggiormente la genialità di Jacobbi. La parola è la “centrale creativa” di Jacobbi, per dirla coll’amato Savinio, uno dei tre uomini, con Bruno Barilli e Massimo Bontempelli, che gli hanno cambiato la vita; sebbene le incombenze quotidiane lasceranno sui sette tavoli di lavoro dell’autore una tale quantità e qualità di inediti ancora da scoprire.