Lontana da me declinò la casa della mia infanzia, lentamente diventarono grigie le eternit, corrose le tavole;
le mani dell'angoscia la strinsero tutta
con artigli soavi ma lungamente
così che la polvere dei miei anni sbuffava agli aliti di vento che cercava i miei piedi nelle scarpe vecchie rimaste abbandonate.
Diventò la casa quasi una pagoda
sovrastata dal gelso;
in essa ebbero tomba gli scorpioni
che meriggiavano tra le tavole,
tutto il giardino decadde:
a pezzi, travi, soppalchi
vi scivolarono dentro
(non fossi rimasto in un angolo
giocando col gatto, a bottoni, coi soldatini,
la casa aveva bisogno di salvarmi
ma né io c'ero né ombra né angelo).
Ritornai dopo un secolo e riconobbi gli avanzi,
mattoni rosso bandiera tra bacche rosse,
gerani squillanti, segnali per me
e un rottame di specchio
in cui guardassi
la mia vecchiaia.
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