Un caso unico fu Ruggero Jacobbi, soprattutto se si vuole definire l'essenza del Novecento, perché Jacobbi era il Novecento della poesia amara dell'uomo ragione e sentimento che scopre la presenza dell'inconscio nella totalità, era la curiosità filosofica dei meandri della storia, era il rischio della fantasia e dell'intelletto. Tutto ciò si sintetizza molto genericamente nella formula del geniale critico-artista.
Ruggero Jacobbi nacque a Venezia in Campo San Polo (n. 2271) il 21 febbraio 1920 da padre (Nicola) che lavorava presso l'industria petrolifera Shell e da madre napoletana (Lucia Dentis, austera, religiosa, di sentimenti monarchici). Nel febbraio del 1922 il padre di Ruggero si trasferì a Genova per motivi di lavoro e qui Ruggero compì gli studi elementari. In seguito ad altri trasferimenti del padre Ruggero nel 1929 iniziò a frequentare il Ginnasio inferiore “D'Azeglio” di Torino e nel 1930 li continuò presso il Ginnasio “Tasso” di Roma (abitava a Roma in via Calabria, 35). Qui ebbe come compagno di scuola Mario Alicata. Nella sua precocità è tra coloro che “diedero collaborazione più qualificata o più assidua” (Ruggero Zangrandi) al giornaletto studentesco della terza ginnasiale B del Liceo “Tasso” promosso da Vittorio Mussolini. Il giornaletto ( La penna dei ragazzi ) uscì prima ciclostilato, poi a stampa, poi - col titolo Anno XII e Anno XIII - come rivista. La guerra di Africa impedì la pubblicazione di Anno XIV. Il periodico fu anticonformista e quasi tutti i collaboratori usciranno fuori dal fascismo attraverso ulteriori aggregazioni, impegni o la partecipazione alla guerra. Ricordiamo tra i collaboratori: Stefano Canzio, Danilo De Cocci, Mario La Rosa, Luigi Compagnone, Esulino Sella, Toto Di Giorgi, Paolo Alatri, Carlo Cassola, Ruggero Zangrandi, Alfonso De Francisci, Clara Foggi, Enrico Ferraioli, Franco Lattes, Giuseppe Lonella, Antonello Trombadori, Marcello Venturoli, Bruno Zevi, Eletta Podyje, Ugo Moretti, Anna Maria Bossi, Luigi Servolini, Pietro Pizzarelli, ecc. Da un gruppo di questi collaboratori (Zangrandi, Alicata, Sella, La Rosa, Ugo Mursia e altri) nacque un movimento, “Istituto per la propaganda dell'Universalità del Fascismo” (IPUF) che ebbe come presidente onorario Vittorio Mussolini il quale poco dopo si dimise per desiderio del padre.
Quando Jacobbi conseguì la maturità classica (e fu nel 1937, con un anno di anticipo sul corso regolare di studi) era già collaboratore di importanti riviste letterarie ( Circoli, Maestrale, Fiera Letteraria, Meridiano di Roma ). Si iscrisse alla Facoltà di Lettere di Roma e fu immediatamente regista per il Teatro - GUF di Teramo e di Roma. Ebbe come collaboratore l'amico Gerardo Guerrieri e poté svolgere un programma teatrale dei testi di Rosso di San Secondo, Pirandello, Bontempelli, Betti, Ludovicini, Landi, Pinelli, Fabbri, Angeli.
Con Rosario Assunto sono stato compagno di vita militare a Tortona, Alessandria, Ovada dal luglio del 1941 ai primi mesi del 1942. (..) Con Assunto parlavamo molto di letteratura e di ermetismo ma la conversazione non cadde mai su Jacobbi. Solo nel 1990, in una nota di Jacobbi a una poesia di e dove e quando e come trovo il ricordo jacobbiano di Assunto studioso di Schelling e compagno di vita universitaria a Roma. Nei ricordi, vivissimi, di Assunto, Ruggero è, a quindici anni, critico teatrale; nel 1938 partecipante ai Littoriali del Teatro a Palermo (dove Assunto lo conobbe), collaboratore in quegli anni a Meridiano di Roma, Letteratura (qui scrisse per la morte di D'Annunzio), Corrente di Vita giovanile, Campo di Marte .
All'università Jacobbi frequenta assiduamente le lezioni di Trompeo preparando una amplissima tesi su Mallarmé (ma le vicende della vita non gli consentiranno di laurearsi), partecipa alle serate retrospettive del Cine GUF, è organico al gruppo ermetico fiorentino (ma si allontanerà, dal 1945, dal mondo cattolico di taluni ermetici). Jacobbi è, soprattutto, al centro della vita culturale giovanile romana fino al 1943 (anno del primo matrimonio con una giovane donna di Pratovecchio, del carcere per antifascismo) insieme con Mario Alicata e Giaime Pintor, il simbolo di quella generazione che dal 1943 prenderà vie diverse. Jacobbi (che da parte paterna aveva ascendenza nobiliare di “barone”: una delle ironie della sua vita) abitava a Roma vicino a piazza Fiume, era nottambulo, era per tutti un mito per la conoscenza che aveva del teatro, della poesia, delle letterature straniere (nel 1942 porta sulla scena per la prima volta Anna Proclemer, fidanzata del suo amico Gerardo Guerrieri, un lucano di Grottole). Ad Assunto fa conoscere Dino Campana. Fra gli altri amici erano Ugo Stille, Carlo Laurenzi.
Dopo aver partecipato alla Resistenza collabora al quotidiano romano Il Tempo e poi si reca a Milano nel 1945. Ma occorre fare un passo indietro per individuare gli interessi di Jacobbi ancora adolescente quando, nel 1937, collabora a Letteratura (su Savarese) e Meridiano di Roma (su Gatto, Soffici, Anton Giulio Bragaglia). Nel 1938 abbiamo le note su Manzini, Savarese, Bonsanti, Pea, Vittorini, ecc. (su Corrente ), Scipione ( Letteratura ), Rilke, Gallian, Tofanelli ( Meridiano di Roma ) e la collaborazione è allargata a Circoli (su D'Annunzio, Savinio) e La Ruota (De Robertis e il saggio su Leopardi).
A diciotto anni Jacobbi partecipa ai Littoriali di Palermo (prima decade di aprile del 1938) per il convegno di critica letteraria con un gruppo ben individuato che si era già riunito a Roma il 3 aprile per fissare - nel quadro dell'opposizione e della critica al fascismo - i suoi obiettivi. Non so se Jacobbi partecipò alla riunione dei trenta giovani a Roma durante la quale si parlò esplicitamente, per bocca di Marco Aurelio Giardina di Pisa, della loro ideologia che era quella comunista. Era un momento drammatico per l'Italia e per l'Europa per l' Anschluss di marzo, per la guerra di Spagna: di lì a pochi mesi ci sarebbero state la proclamazione del razzismo fascista, la crisi per i Sudeti, la capitolazione di Monaco, le rivendicazioni fasciste di Tunisi, Gibuti, la Corsica.
A Palermo al convegno di critica letteraria prevalsero gli interventi anticonformisti di Ruggero Jacobbi e Mario Alicata di Roma, Adriano Seroni e Franco Lattes di Firenze, Mario Spinella di Pisa, Aldo Borlenghi di Parma, Vito Pandolfi di Torino, Franco Giovanelli e Antonio Rinaldi di Bologna, Iginio De Luca di Padova. Jacobbi fu classificato settimo nella critica letteraria. Per la loro libera discussione non vennero classificati Giovanelli, Rinaldi e De Luca. I Littoriali di Napoli (1937) e di Palermo si prestarono “a una valutazione degli orientamenti, le aspirazioni, le illusioni, gli umori dei giovani universitari in un momento cruciale (...) che fu, insieme, di stasi e di trapasso e nel corso del quale il fascismo poté apparire ad alcuni solido e trionfante, mentre agli occhi di altri cominciò a smascherarsi, a rivelare crepe profonde, attraverso le quali si intravedevano paurose verità” (1). Ai Littoriali del 1938 si incontrano Mario Alicata, Bruno Zevi, Antonello Trombadori, Mario Spinella, Alberto Lattuada, Francesco Arcangeli, Aldo Borlenghi, Giordano Corsi, Lelio Cremonte, Felice Del Beccaro, Dino Del Bo, Francesco Della Corte, Igino De Luca, Giuseppe De Santis, Luigi Firpo, Franco Lattes (Fortini), Enrico Fulchignoni, Giuseppe Giardina, Franco Giovanelli, Jader Jacobelli, Mario La Rosa Nicotina, Alberto Lattuada, Riccardo Malipiero, Domenico Melli, Silvio Micheli, Sigieri Minocchi, Carmelo Musumarra, Alfredo Orecchio, Vito Pandolfi, Luigi Preti, Pietro Prini, Vittorio Querel, Antonio Rinaldi, Edilio Rusconi, Adriano Seroni, Francesco Tropeano, Emanuele Tuccari, Mario Verdone, insieme con tanti altri di diversa provenienza e che procederanno per vie diverse.
Il quadro dell' intellighenzia giovanile si completa con i nomi di coloro i quali parteciparono prima del ‘38 e dopo e vi si ritrovano i nomi di Salvatore Accardo, Luciano Anceschi, Siro Angeli, Giorgio Bassani, Attilio Bertolucci, Walter Binni, Vitaliano Brancati, Luigi Bulferetti, Franco Calamandrei, Giovanni Calendoli, Guido Carli, Aldo Casalinuovo, Silvio Ceccato, Felice Chilanti, Michele Cifarelli, Giuseppe Codacci Pisanelli, Fausto Coen, Luigi Comencini, Ivon De Begnac, Danilo De' Cocci, Raffaele De Grada, Mario Delle Piane, Giuseppe Dessì, Rofoldo De Stefano, Sereno Denti, Guido Di Pino, Luciano Emmer, Angelo Falzea, Guido Fassò, Mario Ferrari Aggradi, Francesco Flores D'Arcais, Niccolò Gallo, Fidia Gambetti, Alfonso Gatto, Gianandrea Gavazzeni, Pietro Gismondi, Gianni Granzotto, Luigi Gui, Renato Guttuso, Pietro Ingrao, Ettore Levi (Bonora), Lucio Lombardo Radice, Giuseppe Longo, Sergio Lupi, Nicola Manzari, Raimondo Manzini, Marianello Marianelli, Enotrio Mastrolonardo, Santo Mazzarino, Roberto Mazzetti, Alfio Nigro, Giulio Pacuvio, Alessandro Parronchi, Francesco Pasinetti, Alessandro Paternostro, Carlo Perrone Capano, Giuseppe Petronio, Filippo Piemontese, Giorgio Pivano, Giaime Pintor, Vasco Patrolini, Aurelio Roncaglia, Luigi Santucci, Giuseppe Sala, Vittorio Sereni, Leonardo Sinisgalli, Girolamo Sotgiu, Giacinto Spagnoletti, Mario Stefanile, Paolo Emilio Taviani, Stefano Terra, Carlo Terron, Leone Traverso, Pietro Treves, Vincenzo Trimarchi, Gaetano Tumiati, Ferruccio Ulivi, Giancarlo Vigorelli, Tono Zancanaro, Vittorio Zincone, ecc., molti dei quali costituiranno nel dopoguerra la classe dirigente nella cultura, nella politica, nel giornalismo, nelle università.
Intanto la trama dell'impegno etico-politico del rinnovamento nei confronti del chiuso nazionalismo fascista veniva crescendo con gli incontri ed i dibattiti che creavano assonanze, simbiosi, nuove tracce le quali si diffondevano in tutta la nazione. I dibattiti erano sorvegliati dai componenti delle commissioni giudicatrici: “Un impressionante numero di docenti universitari, uomini di cultura, artisti, scrittori che accettarono e sollecitarono d'essere inclusi in quelle giurie, non certo per svolgervi opera di dissidenza, come molti giovani: al contrario, per assumervi la difesa dell'ortodossia fascista contro gli errori, le deviazioni e, più ancora, le insidie di quei giovani intelligenti e combattivi che, specie nei convegni di carattere non politico (critica d'arte, letteratura, cinema, teatro, radio, ecc.), attraverso il linguaggio specialistico o magari ermetico, tentavano di far passare merce di contrabbando ” (Zangrandi). Il linguaggio ermetico e cifrato venne certamente usato da Jacobbi quando scriveva su Roma fascista con il suo gruppo di amici (Antonelli, Lizzani, Gerardo Guerrieri): la testimonianza è stata da me ascoltata, per bocca di Carlo Lizzani, il 6 giugno 1991 in occasione della rievocazione di Jacobbi tenuta a Roma alla libreria Croce a dieci anni dalla morte di Jacobbi.
A livello più alto del normale la sorveglianza dei politici fascisti presenti nelle giurie (presidente era un alto gerarca, un ministro, un deputato, un esponente del partito, un docente universitario-gerarca) poteva essere sorvolata. Jacobbi giovanissimo è già di alto livello culturale. Nel 1939 collabora a Tesoretto, Circoli (su Sainte-Beuve), Corrente (con la rubrica “Segnalazioni”), Letteratura (su Tofanelli), si affaccia al Bargello (sul “capitolo” letterario), è padrone di casa in Campo di Marte . La prospettiva di Letteratura (fondata nel 1937) era quella internazionale dei problemi letterari: per questa via si oltrepassava il linguaggio nazionalistico e sulle sue pagine si ritrovavano intellettuali svincolati dai problemi pubblici della società ma in nome dell'individualità morale dei protagonisti europei e italiani. In essa conversero collaboratori di Solaria e dissidenti del Frontespizio cattolico contrari al conformismo filofascista delle riviste di Ugo Ojetti. Corrente di Vita giovanile (vissuto nel biennio 1938-39) fu organo del gruppo di De Grada e Treccani e rappresentò una cultura civile, libera dalle mitologie idealistico-nazionaliste, dialettica nelle sue posizioni, non limitata alla letteratura (furono dibattuti molti problemi di arte, urbanistica, filosofia, storia).
Ormai la cultura ermetica è consolidata nelle sue espressioni artistiche del disagio individuale e storico, come segno di coscienza critica di difesa e di polemica. Quando esce Campo di Marte (agosto 1938 - agosto 1939) la crisi è viva, le mistificazioni del fascismo affiorano nella cultura e i fondatori (Gatto e Pratolini) intendono verificare la loro umanità nel fatto letterario, aprendosi alla storia e al tempo presente. L'idealismo è dichiarato fallito, affermata la letteratura come vita, il dramma dell'uomo è presentato come partecipe di una realtà disperata. La tensione drammatica costituisce l'avanguardia dei collaboratori del foglio “di azione letteraria e artistica”. Il linguaggio critico ha valore assoluto per Bigongiari, per Bo; il fallimento individuale, l'assenza della speranza sono sostenuti dalla connotazione religiosa (non celeste né metafisica) della poesia che è la “sete di realtà”. La poesia è “quello che non sappiamo” (Bo); “Non di parole ‘definite' noi abbiamo bisogno, ma di idee importune che rendano perplessi e ci costringano ad una personale scoperta” scrive Pratolini.
La ricerca tocca la realtà totale, la desolazione costruttiva diventa messaggio ad una generazione. Nei giovani della rivista erano le posizioni dell'ermetismo, le esperienze poetiche e critiche più vive del tempo. Ci fu certamente del velleitarismo ma i motivi dell'assenza, della poesia preservarono ciò che si poteva salvare nella faticosissima dialettica del tempo. Gli eventi, la guerra, metteranno in opera altre forze e altri sentimenti; quella di Campo di Marte fu una barriera aristocratica, ma di ardente e condensata difesa.
Luzi, Bigongiari, Gadda, Bo, Montale, Solmi, Landolfi, Pratolini, Anceschi, Vittorini, Bartolini, Ferrata, Bilenchi, ecc. si ritrovano sull'una o sull'altra di queste riviste, più spesso collaborano all'una e all'altra in modo concentrato e vibratile di fronte al precipitare di eventi ritenuti incontrollabili. Personalmente posso testimoniare l'influenza che le tre riviste esercitarono su me saturo di Croce di poesia-non poesia, di Croce antinovecentista ma diffidente della vischiosa allusività di Campo di Marte.
Carlo Bo ha ricordato Jacobbi adolescente che egli si vide “capitare alle Giubbe Rosse, un ragazzo che sapeva tutto, una sorta di Radiguet trasferito nel campo della critica (...) Già allora sapeva tutto e riusciva a mettere in imbarazzo uomini che per età e per carriera erano già considerati dei maestri. Dove Jacobbi avesse letto tutte quelle cose, in che modo sapesse a memoria Mallarmé e per quale strada fosse arrivato a possedere un capitale di quel genere nessuno ce lo avrebbe saputo dire, così come in seguito leggendolo e sentendolo parlare non siamo mai riusciti a individuare la fonte di quella grazia, la ragione di quella capacità di individuazione totale della letteratura” (2).
Nella riunione romana del 6 giugno 1991 alla libreria Croce, a dieci anni dalla morte, è stato detto che Jacobbi critico viveva teatralmente, cioè in senso totale e che Pratolini, uno degli amici più cari di Jacobbi, aveva detto che Ruggero “grondava intelligenza e dava vita agli altri”. Jacobbi che si reca a Firenze per vedere e conoscere gli ermetici, Ruggero che vive in modo totale e intende la cultura allo stesso modo non poteva restare - lui che ricercava l'impegno pubblico - estraneo alle vicende politiche del tempo suo e come aveva sperimentato ai Littoriali modi per correggere storture e disumanità del regime, una volta scoppiata la guerra si oppone al proseguimento del criminale bellicismo fascista.
Amico di Zangrandi, compagno di scuola di Alicata, intimo dei Puccini, Jacobbi il 5 gennaio 1944 è incarcerato nel sesto braccio di Regina Coeli di Roma, per avere distribuito in autobus volantini contrari al regime (“detenuto sovversivo” è definito Jacobbi nel fascicolo personale 50691); della detenzione è un ricordo nei versi del Sonetto del prigioniero composto a Rio de Janeiro nel 1957. L'antitirannide di Jacobbi (che fu socialista libertario e internazionalista) ha un altro documento nell'espulsione dal Portogallo della quale fu oggetto nel 1966 per opera del regime di Salazar.
Nell'estate del 1945 Jacobbi si trasferì a Milano e fu vicino a Paolo Grassi e a Giorgio Strehler nell'ideazione e fondazione dello statuto del primo Teatro Stabile italiano, con gli stessi diresse la Scuola d'Arte Drammatica del Fondo “Matteotti” insegnandovi Recitazione e Storia del teatro. Nello stesso periodo milanese Jacobbi fu anche attore di cinema (capostazione cospiratore) in Il sole sorge ancora con Lizzani e Checco Rissone; attore fu anche Alfonso Gatto.
Nel 1946 Jacobbi fu per qualche tempo a Bergamo ma il 1946 è l'anno della partenza per il Brasile. La sua partenza fu la fine di un'epoca. Jacobbi lasciò l'Italia per il Brasile con la compagnia di Diana Torrieri della quale era regista. La compagnia non ebbe il successo sperato e ritornò in Italia. Jacobbi rimase in Brasile dove fece scuola e instradò giovani attori e registi creando strutture moderne ma quando, dopo quattordici anni, ritornò in Italia, era quasi sconosciuto: “E' come se fossi nato ieri” ebbe a dire. Noto in Brasile come poeta in lingua portoghese, regista, insegnante di teatro all'università, in Italia dovette inserirsi con fatica nella “vita dannata”, ebbe a dire, del teatro.
La scelta brasiliana di Adolfo Celi (1948), di Gianni Ratto (1954), di Flaminio Bollini, Luciano Salce fanno pensare che Jacobbi, oltre che per ragioni personali, abbia compiuto il lungo trasferimento in Brasile per trovare spazi creativi teatrali più ampi che in Italia, per trovare consonanza con la migliore eredità del Novecento europeo che in Europa aveva concluso il suo ciclo poiché la storia assumeva nuovi orientamenti. L'immenso territorio favoleggiato incontaminato avrebbe potuto offrire verginità di sensazioni che occorrono agli artisti per rinnovare la vita interiore. Altri intellettuali dall'incontro con nuovi mondi avevano fatto rinascere sensibilità decadute o avevano creato nuove forme, l'esperienza del primo Novecento poteva essere rinfrescata in nuove forme. Il fine ultimo di Jacobbi era sempre stato la valorizzazione della parola umana, degli uomini di tutte le espressioni: finita la seconda guerra mondiale con la condanna e la morte del bellicista italiano e del razzista tedesco, si aprivano orizzonti di attività insieme con tutte le famiglie umane libere o da liberare.
Jacobbi si integrò perfettamente nella cultura brasiliana partecipando al rinnovamento del teatro, alle attività teatrali e cinematografiche, insegnando e facendo l'animatore nel mondo scenico del nuovo grande paese. Con un gruppo di italiani (registi, scenografici, operatori teatrali) e personalmente quale autore, regista, docente, critico, direttore artistico di stazioni televisive, direttore e insegnante nella prima scuola brasiliana di arte drammatica, traduttore. In Brasile si incontrò con i poeti della generazione del '45 che coltivavano lo spirito del Novecento, un Novecento universale, fantastico e romantico.
Nel nuovo paese, la sua seconda patria, portò sulle scene Goldoni, Shakespeare, O'Neill, Strindberg, Salacrou, D'Annunzio, Sofocle, Marco Praga, De Filippo, Mozart, Puccini, Illica, Bizet, etc... Fu un antesignano nell'intendere la grandezza di Pessoa, di Jorge de Lima che contribuirono a rendere più ricca la sua poesia. Esercitò la critica drammatica su Ultima hora, Folha da Noite, O estado de Sao Paulo , insegnò recitazione, estetica, storia del teatro presso la Escola de Arte Dramatica di San Paolo dove diresse anche il Centro di Studi Cinematografici realizzando tre film di lungometraggio. A Porto Allegre, dove si trasferì nel 1958, creò e diresse presso l'Università il Corso di Arte Drammatica insegnando estetica e storia del teatro; insegnò estetica anche presso la Facoltà di Architettura. In questo periodo conobbe e sposò l'attrice Daisy Santa di Jarag do Sul.
Quando, nel 1960, ritornò in Italia, “tutti i suoi talenti - scrisse Mario Luzi - sembravano esplosi: l'uomo di teatro, il regista, il critico e lo storico; l'autore e il traduttore di testi scenici memorabili, il conoscitore, l'interprete e il traduttore di poesia brasiliana e lusitana si integravano con il criterio che era andato e andava ricostruendo, secondo la sua propria esigenza morale e una sua assai personale ideologia, il tracciato della nostra letteratura moderna”. L'esperienza culturale brasiliana continuò dopo il ritorno in Italia con la frequentazione di Murilo Mendes e di altri poeti brasiliani, di Luciana Stegagno Picchio insigne studiosa di letteratura portoghese e brasiliana.
In Italia Jacobbi fu del tutto estraneo ai centri e ai giochi di potere editoriali o dei mass-media. Visse dapprima a Roma e diresse il corso di Arte Drammatica presso l'Università di Pisa, nel 1961 si trasferì a Milano dove fu vice direttore del Piccolo Teatro diretto da Paolo Grassi, direttore della Civica Scuola d'Arte drammatica del Comune di Milano; al Piccolo diresse il corso di Recitazione, nel 1963 fu docente di Dizione poetica e incoraggiò in modo straordinario, con tutte le sue forze, la produzione drammatica italiana mettendo in scena esclusivamente opere di giovani autori.
Durante i primi anni del rimpatrio conosce a Milano, al Teatro delle Arti, Mara Dragoni, allieva del corso di Recitazione. Nella vita di Jacobbi è l'amore definitivo; con Mara nel 1963 si reca in Portogallo. Trasferitosi a Roma, Jacobbi nel 1966 si sposa a Milano, con rito civile, con Mara. Nel 1970 dal matrimonio nasce Laura. Nel 1966, quando Jacobbi era a Oporto e dirigeva artisticamente il Teatro sperimentale del Portogallo e metteva in scena La locandiera , fu espulso dal Portogallo dal governo dittatoriale di Salazar e si rifugiò a Vigo, in Galizia.
Negli anni Sessanta l'attività di Jacobbi fu immensa, generosa, totale, fu una ripresa di dibattiti, convegni, scuola, pubblicazioni, giornalismo, poesia, teatro: fu molto assiduo collaboratore teatrale dell' Avanti! , pubblicò il volume sul teatro in Brasile, un corso di arte drammatica a Porto Alegre, scrisse su Joppolo, Gassman, Taranto, Buazzelli, Ibsen, Sartre, Fabbri, Baseggio, Brecht, Leonetti, Eliot, Plauto, Miller, Dursi, Ionesco, Marlowe, Pasolini, Paone, Vaime, Antonicelli, Shaw, Terron, Betti. Collaborò a dieci volumi del Dizionario Enciclopedico UTET, pubblicò il Faulkner (1967), l'antologia della Poesia futurista (1968), l' Hemingway (1968), collaborò a Dramma, Ponte, Ulisse , ristampò il Campo di Marte (1969), tradusse lirici brasiliani, Mendes, Lope de Vega, raccolse proprie poesie, compose racconti e un Diario di Copacabana , svolse ampia attività di regista e radiofonica, nel 1963 vinse il premio IDI-Saint Vincent per la regia, etc. Anche il decennio successivo, quello degli anni '70, fu di abnorme fatica per Jacobbi: ricordo il viaggio in Svezia nel 1971 e nel 1976 (in questo secondo viaggio raggiunse anche Amsterdam e Belgrado dove parlò all'Istituto Italiano di Cultura), la vittoria nel premio “D'Amico” per la critica (1972), l'incarico (1973) di Letteratura Brasiliana nel Magistero di Roma. Critico drammatico di Dramma, Paragone, Chiarezza, lettore dei copioni per l'IDI, professore di Storia del Teatro nell'Accademia Nazionale di Arte Drammatica (per 15 ore, succedendo a D'Amico e a Bassani), Presidente della Società Italiana Autori Drammatici, vincitore del premio IDI-Saint Vincent 1972 con l'opera Teatro di ieri e di domani, pubblica il P izzuto (1971), l' Ibsen (1972 ), la Guida per lo spettatore di teatro (1973), il Rimbaud (1974), Le rondini di Spoleto (1977), collabora a Paese sera, Sipario, Ridotto, Enciclopedia dello spettacolo, scrive su Lorenzo Calogero, A. G. Bragaglia, Govoni, Fontanelli, S. Ramat, Fo, Jorge Amado, Vico Faggi, Bigongiari, traduce i simbolisti brasiliani, Rafael Alberti, mette in scena opere proprie (tra le quali Edipo senza Sfinge , Roma, Teatro delle Arti, 1973) e La Malquerida di Benavente (Fano, 1972), continua a sistemare le proprie poesie, prepara antologie, traduce, interviene su Pessoa, Paola Masino (con Alfonso Gatto, 1974), con la Stegagno Picchio presenta opere di poeti portoghesi e brasiliani, altri libri presenta con Assunto, Spagnoletti, a Gorizia al convegno su Umorismo e satira nella Mitteleuropa presenta una relazione su Dal grottesco al surreale nel teatro italiano del Novecento, con Roncaglia e la Stegagno Picchio presenta (1977) Ipotesi di Murilo Mendes, ad Atene presenta (1977) Desinenze di Alfonso Gatto, ancora ad Atene (1978) parla di Drammaturgia e spettacolo in Italia, oggi (all'Istituto Italiano di Cultura), a Como commemora (1979) Bontempelli nel centenario della nascita, a Villa S. Giovanni (1979) parla di Rapporto tra letteratura calabrese e nazionale nei primi venti anni del Novecento.
Dal gennaio 1975 al novembre del 1980 (quando assunse servizio al Magistero di Roma quale titolare vincitore di concorso per la cattedra di Letteratura brasiliana) diresse con inimmaginabile sacrificio per le condizioni dell'impresa la gloriosa Accademia Nazionale di Arte Drammatica “Silvio D'Amico” per ricongiungersi con la giovinezza, con i maestri, per avviare gli ingegni al teatro, allo spettacolo, per fare continuare la drammaturgia.
Appartengo alla generazione di Jacobbi e mi trovai con lui fra i collaboratori, dal 1938, al Meridiano di Roma e ad altri periodici di quegli anni Trenta in cui fui lettore (lui fu collaboratore e attore) di Letteratura, Corrente, Campo di Marte , della cultura dell'ermetismo. Ma ci siamo conosciuti solamente nel 1971, nel mese di giugno.
Ero Ispettore centrale del Ministero della Pubblica Istruzione (per l'Istruzione classica, scientifica e magistrale) e avevo avuto l'incarico di sviluppare l'aggiornamento dei professori di scuole medie superiori seguendo i criteri ammodernatori dell'interdisciplinarità e della contemporaneità. Nel 1971 mi trovavo a Ravenna per un corso sul rapporto tra discipline letterarie e sociologia e Franco Mollia (che dirigeva la collana “Il Castoro” della Nuova Italia) mi presentò Ruggero Jacobbi che invitai come docente ai prossimi corsi di aggiornamento. I ricordi di quelle lezioni interdisciplinari di Jacobbi rimangono indelebili in me per l'immagine di vita vissuta che esse suscitavano, vita culturale e morale perché l'unità delle principali componenti dell'espressione in Jacobbi si collegava con la vita interiore.
La memoria, la sintesi, la vita morale trascinavano con Jacobbi in un sovramondo di autenticità in cui egli era il compagno che aveva sperimentato epoche ed ambienti i più diversi, il compagno che persuadendo imponeva l'arte e gli altri lo seguivano. La parola autentica di Jacobbi sublimava perché presupponeva il superamento della costrizione e induceva in un mondo di libertà; umano, il suo libertarismo sapeva di amaro, di mancata conquista, di esilio, di patria perduta. Egli si sentiva decaduto da un altissimo mondo:
sono un uomo di prima, appartengo
ancora al tempo in cui si parlava di Dio (...)
- Chi sei? - premeva, la fronte zebrata all'ombra delle persiane.
- Sono il prosaico, l'informe, un perfetto, illacrimato orfano.
Così scriveva Jacobbi di sé, a Rio de Janeiro, nel 1956, ad una donna trafitta dall'altezza di lui.
Una delle ultime relazioni di Jacobbi fu quella tenuta a Salerno nell'aprile del 1980 su Esperienza milanese ed esperienza fiorentina nell'ermetismo di Alfonso Gatto . La sera restammo insieme a conversare a cena Jacobbi, Oreste Macrì, Anna Dolfi ed io. Fu l'ultimo mio incontro con lui. Ruggero morì il 9 giugno 1981 al Policlinico “Gemelli” di Roma.
Due Muse, scrisse Orlando Bertani, lo piangono, l'italiana e la brasiliana; due furono le sue bandiere, l'esplorazione e l'indipendenza.
NOTE:
-1) R. ZANGRANDI, Il lungo viaggio attraverso il fascismo, Milano, 1962.
- 2) C. BO, Jacobbi maestro naturale, in “Il Sabato”, 31 marzo 1984.