Nuova edizione
Roma, FAP, 2012
pp. 37 - 41
ISBN 978 88 96932 063

Letteratura e cultura popolare - di Antonio Piromalli

 

 
     

 

 

Secolari interessi comuni, resi omogenei dalla remota unificazione politica, hanno consentito in altre nazioni che gli scrittori vivessero come propri i sentimenti e gli interessi della maggioranza della popolazione, li elaborassero e dalla matrice comune disegnassero le trame anche fantastiche delle loro opere. In ogni modo esisteva un substrato popolare che gli scrittori avvertivano come loro e che interpretavano in termini artistici. In Italia gli scrittori hanno attinto assai scarsamente dai temi popolari, il loro nutrimento è stato umanistico nel significato di libresco e nel carattere di legame con una tradizione di casta. La cultura subalterna non è mai riuscita a rompere la tradizione di casta degli scrittori la quale aveva le sue radici nella struttura della società.

L'egemonia direttivo-organizzativa delle classi dominanti ha impedito che si sviluppassero gruppi sociali esprimenti una autonoma attività culturale. Su una struttura culturale conservatrice o reazionaria si agitano i sogni degli artisti e i desideri del popolo. Nelle corti rinascimentali i letterati, gli scrittori, gli artisti sono stati assorbiti dalle strutture organizzative cortigiane per mezzo del mecenatismo: la loro cultura finì con l'essere aulica per necessità della politica culturale dominante o per mancanza di rinnovamento di vita. L'amore per l'antichità è stato spesso un mezzo strumentale della corte, dell'aristocrazia, della borghesia cortigiana: si offrivano modelli del passato sui quali si poteva esercitare l'abilità estetica al di là dell'impegno scientifico e del presente.

Con tali presupposti e tali gusti la visione di casta o di classe condizionava atteggiamenti di superiorità morale nei confronti del popolo, del dialetto, della letteratura popolare che veniva impreziosita come polline della letteratura colta e ricondotta illegittimamente a remoti antecedenti dotti presenti nel genere letterario di appartenenza.

Gli scrittori popolari da noi qui trattati hanno avuto una visione storicamente organica della realtà, che hanno tradotto in arte letteraria, con consapevole razionalità; essi non hanno nulla in comune con gli esemplari in cui il dialetto o l'aura popolare sono stati enfatizzati, in anni a noi vicini, nel revival dell'estinto collegato con fili non del tutto invisibili alla desistenza, al distacco dal presente, alla cattiva coscienza della fuga. Cultura popolare è quella delle classi oppresse. Studiando esempi di essa (a diversi livelli, da Creazzo ad Asprea, ai saggi storico-storici) abbiamo indicato le operazioni compiute nei suoi riguardi per ridurne lo spessore storico e antropologico. La cultura popolare dalla critica è stata, generalmente, idealizzata o espunta (rimandiamo al nostro discorso, in questo volume, sulle storie letterarie crociane o crocio-marxiste). Essa non è stata accettata — nei suoi prodotti letterari — in quanto troppo realista o non trasfigurata in arte, secondo un inveterato pregiudizio estetico nei confronti della cultura subalterna. Schiumata la parte intellettualmente innocua della letteratura, a questa veniva assegnato il riconoscimento estetico. Eppure la cultura popolare in tutte le epoche rappresenta lo spessore più ampio e peculiare della società perché ha come motivi centrali le lotte per il possesso della terra, il brigantaggio come reazione all'oppressione di quella classe che da minoritaria diventa maggioritaria con l'acquisto, l'abuso, l'esproprio dei mezzi di produzione economici e culturali. Contro di essa agivano l’antinaturalismo e l’antirazionalismo della cultura letteraria pura, timorosa di contaminazioni con altre forme e di valutazioni integrali. Se mai, della cultura popolare venivano accolti come elementi subordinati o ritagliati il pittoresco, il colore locale, gli elementi non veri ma narcotizzanti, suasori, apparentabili ad arti nobili, volgenti all'ingenuo: ma è ben lungi da ogni seria considerazione culturale, per noi, l'esaltazione del primitivismo etnico, locale, regionale, che molti critici riconducono al carattere etico-estetico dell'idillio, al «romanticismo naturale» staccato dalla realtà storica. I vichianesimi lirici del primitivo appartengono alle nostalgie romantiche. Non esiste, infatti, una ontologia popolare staccata dalle vicende del popolo in quel luogo e in quel momento, non si possono estrapolare motivi, figure, personaggi storico-culturali e forme, emblemi rapsodici, eterni, destoricizzati.

Una storia della letteratura italiana deve tenere conto di tutte le particolari strutture inerenti anche alla sua complessa geografia, alle stratificazioni differenziate delle culture locali che spesso contrastano o contestano la cultura accademica, ufficiale, tradizionale, sono - comunque - agenti dell'attività culturale integrale. Le culture popolari di un luogo, di tutti i generi in cui esse si esprimono, hanno dignità pari alle forme della cultura egemone. Tale riconoscimento bandisce, però, ogni tentazione di microfilia, di campanilismo, di vanto di «rutto del piovano», di associazione di una cultura chiusa con un tempo di oppressione sì da creare nostalgie e mitologie dell'oscurantismo. Non è raro che si scivoli in qualche mittel, nord, sud assaporando macerazioni, fermenti, esalazioni che non sono mai esistiti e che vivono solo per via di immaginazioni letterarie consolatorie o narcisistiche. La realtà è ben diversa dai vagheggiamenti di languori, di morte estenuata, dal revival di un ducato da operetta o da inferno, dalle «isole felici». Ci riferiamo alle illusioni che i mondi culturali piccoli e lontani siano per se stessi più validi.

La geografia storica italiana non è aderente alle regioni amministrative, come talvolta si considera, ma accanto a scomparti, angoli estremamente particolari ha collegamenti, prolungamenti extraregionali che dovrebbero essere diacronicamente descritti in modo da rendere presenze, trasformazioni, arresti, scomparse culturali. Tale studio della cultura policentrica italiana può essere compiuto senza preventive eliminazioni e subordinazioni ma, anzi, studiando le relazioni di un centro con i tentativi di unificazione provenienti da altri centri, le sue difese, i rapporti tra cultura popolare e cultura dotta, i sostegni che quest'ultima ha trovato nelle ragioni strutturali del potere cortigiano, signorile, statale e i disdegni che la prima ha incontrato presso i dotti, i potenti, i clienti. Cultura popolare è varietà di culture con identità specifiche derivanti da autonomie caratterizzate per tensioni creative — o anche contestatrici - differenti a seconda delle stratificazioni, dell’humus, degli strumenti espressivi. Come le materie degli oggetti della storia dell'arte sono diversi, la cultura popolare si esprime in linguaggi diversi, in contaminazioni interdialettali o tra dialetti e lingua, che testimoniano rizo-morficamente i rapporti culturali. Bisognerà scendere alle radici per cogliere le specificità, l'identità. Né si tratta di radici dello stesso genere perché, ad esempio, se nell'attuale società di massa rivalutiamo l'identità della cultura popolare contadina storica e presente, residua, occorre anche valutare la nuova cultura popolare diversa da quella contadina e avente origine da nuove aggregazioni e nuove emersioni.

Scendendo nel profondo della biogeografia culturale si giunge sperimentalmente a trovare la base dei sentimenti umani, spesso sorprendenti e relativi alle condizioni storiche, si possono correggere le generalizzazioni dovute a idealismi, irrazionalismi, dogmatismi: nei saggi contenuti in questo volume documentiamo, ad esempio, le mistificazioni compiute, a proposito del Pinocchio, dalla cultura pedagogico-paternalistica interessata, di classe, connessa con i ricatti della struttura socioeconomica e, a proposito di Pietro Rossi, la propaganda reazionaria, discesa fino a un'area ristretta di cultura contadina. Altri inquinamenti dovuti al crocio-marxismo sono verificabili in ampi settori della nostra cultura.

Se la cultura popolare può essere il terreno dell'arte i valori semantici non esistono nel solo realismo (né esiste realismo di un solo tipo). Essi esistono nel fondamento della coscienza razionale (non solo, perciò, di quella fantastica) che dà forma artistica, nell'organicità semantica del contesto poetico (che fa parte di un contesto culturale), nella polivalenza semantica: in questo ambito l'arte che nasce dal terreno della cultura popolare e dialettale offre nuove possibilità di studio degli arricchimenti sintattici, studio che il letterato puro non ha, spesso, la capacità di compiere.

La linguistica ha preferito studiare testi in lingua e di carattere letterario trascurando la grande fonte, per il linguista, dialettale (anche quando ha scarso interesse letterario). In quest'ultimo caso lo studio interdisciplinare delle tradizioni popolari può farci scoprire stratificazioni di cultura popolare profonda riemersa successivamente nel dialetto o nella letteratura in lingua. Lo studio articolato ed esperto può servire — è tale l'intento dei nostri saggi — a promuovere l'ingresso della cultura popolare nel circolo di tutti i fenomeni dell'arte e della cultura e a considerarla elemento vitale di fondo; a colmare il disimpegno, a contestare sperimentalmente l'esaltazione di attività pseudo culturali indifferenti alla storia e alla ragione.

Roma, novembre 1982